Axel Merckx con il padre Eddy

Le lacrime dell'altro Merckx, Axel: meno 11 al Giro100

Giovanni Battistuzzi

Nel Giro d'Italia del 2006, il figlio di Eddy tenta di fare l'impresa nella tappa di Peschici. Il gruppo però si vendica di tutti i secondi posti subiti dai colleghi negli anni del Cannibale

Leggi Merckx e pensi a Eddy, a un tripudio di successi, a una fame infinita di vittorie, a ogni gara un’occasione in più di poter trionfare: Cannibale di soprannome e di fatto. Quel 16 maggio del 2006 però chi leggeva Merckx non vedeva Eddy, ma Axel, che al contrario di suo padre non era un fenomeno, ma un eccellente professionista sì, uno da tirate, pazienza infinita e chilometri in testa a prendere vento per il capitano di giornata. Non avesse avuto scritto sulla carta d’identità Merckx sarebbe stato applaudito per quello che era: un corridore dal cuore buono, votato agli altri.

 

Era la decima tappa e centonovanta chilometri separavano Termoli da Peschici. Pochissima pianura, un saliscendi continuo, nessuna possibilità di riposare in quel reticolo di curve e asfalto all’insù, all’ingiù, mai piano e mai dritto. C’era la fuga, ma in principio, la rincorsa, ma intermezzo, dopo Monte Sant’Angelo, cumulo di roccia e boschi al centro del Gargano, inizia l’assolo. Axel Merckx era diventato avanguardista tra tanti che era mattino, poi preda da cacciare, sola, diciassette chilometri davanti, poche decine di secondi di margine, il mare tutt’attorno. Quel giorno scappava da tutti, dai suoi obblighi di frangiflutti per chi nella sua squadra aveva appuntato i gradi sulla maglietta, dal gruppo che lo voleva riprendere. Inseguiva il padre, il blasone di quel cognome che voleva dire dominio, primato.

Il triangolo rosso dell’ultimo chilometro lo vide per primo, lo passò per primo. Dietro un lungo serpentone di corridori che portava addosso il ricordo di anni di secondi posti subiti da altri, da colleghi di un tempo. La strada saliva tra le case bianche sul mare azzurro, sotto un sole giallo che cuoceva piano piano. I metri che separavano le ruote dal traguardo diminuivano, ma senza che chi le spingeva se ne accorgesse. Merckx davanti, che si girava, controllava gli altri, stringeva i denti, provava a non crollare. Il margine era però sempre più risicato, le sagome dei rivali sempre più grandi. Eddy non si voltava mai, aveva imparato a riconoscere il fruscio del vento che percorreva il vuoto. Axel no, sentiva lo sferragliare di cambi, il sibilo degli pneumatici che scorrevano sull’asfalto. Poi vide i colori, le maglie, le gambe, le schiene. Franco Pellizotti fu il primo a raggiungerlo, il più lesto a staccarlo. Mancavano centocinquanta metri al traguardo, uno spazio infinito. Quando lo superò staccò le scarpe dai pedali, si piegò sul manubrio e iniziò a piangere cercando riparo con le mani dagli occhi irrispettosi della telecamera. Le stesse che non riuscirono a proteggere il padre sul letto di Savona dopo che i medici del Giro d’Italia lo cacciarono per sostanze un po’ strane ritrovate nel suo sangue.

Vincitore: Ivan Basso in 91 ore 33 minuti 36 secondi;

secondo classificato: Enrique Gutierrez a 9 minuti e 18 secondi; terzo classificato: Gilberto Simoni a 11 minuti 59 secondi;

chilometri percorsi: 3.553.

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