L'impresa da Malabrocca di Marco Coledan: meno 2 al Giro100
Il Sestriere al Giro d'Italia del 2015 fu teatro dell'ultimo tentativo di Aru di ribaltare il regno di Contador e di una sfida degna degli anni d'oro del ciclismo
Gli ultimi fanno più fatica, in sella stanno più ore, danno tutto che ancora il traguardo è distante, poi si staccano dal gruppo e pedalano aggrappati alle ultime forze che sono rimaste loro in corpo. Gli ultimi hanno nomi e cognomi, ma sono nomi e cognomi che molte volte non si ricordano, che riempiono elenchi, ordini d’arrivo. Gli ultimi sono tanti e sono ciclismo allo stesso modo dei primi, quello fatto dai nomi e cognomi che si ricordano, che riempiono albi d’oro. E’ però un ciclismo diverso, più duro, forse più vivo e vitale, quasi per gente comune, se non fosse che la gente comune certe fatiche non sarebbe in grado di sopportarle.
C’era un tempo in cui l’ultimo aveva il suo simbolo, la Maglia Nera. Erano sfide a chi andava più piano, imboscata, camuffamento, un nascondino per arrivare al traguardo dietro a tutti. Fu il progresso a fregare i campioni dell’ultimo posto: transenne da smontare, teloni da raccogliere, arrivi da trasportare altrove, soprattutto strade da aprire al traffico ché non potevano rimanere chiuse per mezz’ore dopo l’arrivo dei primi.
Quando le biciclette sparirono dalle città l’ultimo posto divenne dannazione, cosa da evitare. Erano anni di velocità, eredità di auto che a flotte occupavano le strade. Quando le biciclette ritornarono nelle città, l’arte della lentezza ritornò, prima silenziosamente, come è logico che sia, poi si fece palese.
Era il 30 maggio, era il Giro d’Italia 2015, la Saint-Vincent-Sestriere, 199 chilometri, penultima tappa. Il Colle delle Finestre prima dell’arrivo, Alberto Contador che attacca e poi va in crisi, Fabio Aru che fatica e infine attacca, recupera, prova a sconvolgere il Giro e poi si accontenta del secondo successo di tappa di fila.
Cronaca di testa, di vincenti in lotta, un duello alpino risoltosi in poco più di cinque ore, ai 37 di media oraria, una prova di forza e resistenza. Tre quarti d’ora dopo un altro duello, ancor più avvincente. Giacomo Nizzolo, il capitano della Trek, aveva preso freddo saliva a stento, ancor più piano di quello che di solito è concesso ai velocisti. Faceva una fatica immensa, ma non poteva ritirarsi, aveva addosso la Maglia Rossa della classifica a punti da portare a Milano, all’arrivo del Giro. Al suo fianco c’era il fido Marco Coledan, che quell’edizione l’aveva corsa con un ginocchio malmesso, con la febbre e dolori da tutte le parti, ma in sella c’era ancora e fieramente all’ultimo posto. Coledan era arrivato ormai quasi al traguardo quando l’ammiraglia lo avvisò che un tedesco era rimasto attardato, sei minuti e mezzo dietro tutti. Sei minuti e mezzo, lo stesso tempo che lo separava dal penultimo, da quel Roger Kluge che si era fatto sfilare dal gruppo dei più lenti e che sperava di passare inosservato nel suo estremo tentativo di conquistare l’ultimo posto. Il corridore trevigiano decise di fermarsi, aggrapparsi a una transenna poche centinaia di metri prima dell’arrivo e aspettare il furbastro alle sue spalle.
Kluge girò l’ultima curva, iniziò a sentire la confusione degli ultimi duecento metri, sorrise. Poi incontrò la sagoma di Coledan che lo attendeva, diede uno schiaffo al manubrio, sbuffò, capì di aver mancato il suo obiettivo e precedette l’italiano sotto il traguardo. Nessun salame o premio però fu dato a Coledan, nessuna fanfara o palcoscenico, solo 500 franchi svizzeri di multa. Violazione dell'articolo 12.1.007: "I corridori devono difendere sportivamente le loro possibilità. Sono vietati ogni intenzione o comportamento tendenti a falsare o nuocere all'interesse della competizione".
Vincitore: Alberto Contador in 88 ore 22 minuti 25 secondi;
secondo classificato: Fabio Aru a 1 minuto 53 secondi; terzo classificato: Mikel Landa a 3minuti 5 secondi;
chilometri percorsi: 3.482.