Max Allegri. Applausi, inchino
Domenica s’è portato sotto le gradinate dello Stadium e ha fatto un inchino ai tifosi, come un direttore d’orchestra
Domenica, mentre gli altri tripudiavano, s’è portato sotto le gradinate dello Stadium e ha fatto un inchino ai tifosi, come un direttore d’orchestra – al cui canone iconografico il fisico po’ segaligno l’apparenta – che sobriamente raccoglie il tributo per la propria arte. E che direttore. Ha fatto l’inchino, senza sbracare, nell’anno dei trionfi, ché al full monty manca poco, si sa, giusto una gita a Cardiff. Era arrivato nel 2014 col fardello di qualche dubbio – della tifoseria più che altro, che s’era parlata con quella del Milan, probabilmente: lui gli aveva vinto l’ultimo scudetto, al Diavolo, ma non l’hanno mai amato lo stesso. Perché lo spigoloso, l’antiscenografico, il pragmatico, i risicatamene spettacolare coach di Livorno non è mai stato un piacione, un amicone di tutti, uno di quelli che primo farsi voler bene.
Adesso, dopo “83 vittorie su 113 panchine alla Juventus; 7 trofei conquistati con 3 scudetti, 3 Coppe Italia e 1 Supercoppa”, come certificano le statistiche, e con le Grandi Orecchie lì pronte per essere tirate, Massimiliano Allegri fa l’inchino: “Ho bisogno di dimostrarvi altro, signori?”. E si vocifera, ma sono senza dubbio i soliti riempitivi mediatici, quelli che nascono dal non aver altro da dire, che potrebbe decidere di salutare là per là, dopo Cardiff, con plateale uscita di scena e imperiale adieu, à la Mourihno dopo il Triplete, e cambiare aria. La storia l’ha già fatta, il conte Max. Applausi, inchino.