Ecco perché la Russia rischia un flop Mondiale
A un anno dalla Coppa del Mondo 2018 la situazione economica del paese è ancora preoccupante. E ci sono indizi che non migliorerà dopo la manifestazione calcistica
Il 14 giugno 2018, con la cerimonia d’apertura e la partita inaugurale, inizierà l’edizione numero ventuno dei Campionati del Mondo. Sarà la prima volta che la manifestazione si terrà in un paese dell’Europa dell’est, la Russia, che nella sua storia, prima come Urss, ha organizzato, tra gli altri, i Giochi Olimpici del 1980 e quelli invernali di Sochi 2014. Un Mondiale, quello russo, iniziato sotto i peggiori auspici per il Fifagate, la corruzione all’interno del governo del calcio mondiale che avrebbe portato all’assegnazione di Russia 2018 e Qatar 2022 in modo non del tutto limpido. L’inchiesta ha fatto crollare l’impero Blatter e anche quello di Platini, ma non ha toccato le autorità russe, nonostante sia stato discusso più volte se togliere alla Russia l’organizzazione del Mondiale, in favore di Francia ed eventualmente Gran Bretagna. Nessuno però se l’è sentita di stravolgere una macchina organizzativa che era ormai entrata in moto. E questo nonostante, in più di un’occasione, senatori statunitensi di entrambi gli schieramenti avessero avanzato la proposta di boicottare manifestazione.
Il governo russo spera che i Mondiali di calcio possano portate benefici a un’economia messa in difficoltà, tra le altre cose, a causa anche delle sanzioni per l’annessione della Crimea e le tensioni militari con l’Ucraina. Speranze vane almeno secondo Simon Kuper e Stefan Szymanski che nel loro libro Soccernomics hanno svelato la grande menzogna degli stadi come volano dell’economia dei paesi ospitanti di una grande manifestazione sportiva. Secondo i due giornalisti anzi il rischio semmai è opposto: cioè che le richieste d’infrastrutture e impianti all’avanguardia possano mettere in difficoltà le economie locali.
Le criticità più evidenti dell’economia russa sono note da tempo: è ancora controllata per la maggior parte dallo Stato; è legata profondamente a gas e petrolio e quindi alle fluttuazioni di queste due materie prime sui mercati, con gravi ritardi tecnologici; l’inflazione galoppante ha divorato gli stipendi e un rublo che oscilla paurosamente nel cambio con l’euro. Il risultato? I costi per il Mondiale sono cresciuti di molto rispetto a quelli previsti per via dei materiali (più 20-30 per cento) e per questo la quota di quelli russi è cresciuta del 150 per cento. Così per l’organizzazione della Coppa del Mondo il governo russo – insieme con i privati – ha stanziato 12 miliardi di euro.
Undici città e dodici stadi, per una spesa totale, infrastrutture comprese, di 370 milioni di euro. Due a Mosca, dove al Luzniki si giocherà la finale il 15 luglio 2018. San Pietroburgo (113 milioni), Volgograd (53,6), Ekaterinburg (19,6), Kazan (68), Kaliningrad (98), Nizhniy (91), Samara (100), Saransk (19,6), Rostov (111) e Sochi (5,6; fonte calcioefinanza.it) le altre.
Alcuni sono semplicemente da ristrutturare, altri invece da rifare completamente.
Un caso è la Zenit Arena con lavori iniziati nel 2006 e ancora in corso: doveva costare 210 milioni di euro, ma al momento pare sia stato speso un miliardo: assieme alla crisi economica e ai ritardi strutturali c’è anche la corruzione che pesa sulla realizzazione delle infrastrutture dei Campionati del Mondo.
Stadi che inoltre rischiano di rimanere inutilizzati in quanto la maggior parte dei club russi sono indebitati: 26 delle 36 società dei due massimi campionati sono di proprietà di enti locali e altre cinque appartengono a imprese statali. La crisi economica, a cascata, ha colpito duramente i bilanci delle squadre di calcio che dopo i fasti dei primi anni Duemila, con importanti affermazioni in Europa League, sono tornate ai margini del football europeo.
In più c’è il caso dei lavoratori nordcoreani denunciato dall’inglese Guardian e dalla rivista norvegese Josimar, che lavorerebbero tutti i giorni, dalla mattina alla sera, in pessime condizioni, senza nemmeno ricevere lo stipendio, in quanto versato direttamente al governo di Pyongyang (che concederebbe loro solamente il 10 per cento, perché il settanta resta allo Stato e il venti serve per pagare le spese di vitto e alloggio). In Russia attualmente gli operai nordcoreani sarebbero 30.000.
Nel frattempo, dopo gli scontri di Marsiglia a Euro 2016, è scoppiata una guerra mediatica tra inglesi e russi sugli hooligan autoctoni, dopo la realizzazione di un documentario della BBC Two dal titolo Russia’s Hooligan Army (introvabile in Rete), che secondo i media di Mosca è una vendetta per non aver ottenuto l’assegnazione del Mondiale, mentre da Londra si ricorda quello che è accaduto un anno fa in Francia (e che abbiamo raccontato sul Foglio). Che nell’Europa dell’Est ci sia un problema hooligan lo raccontano i fatti degli ultimi anni, basti ricordare gli Europei del 2012 in Polonia e Ucraina, un fenomeno complesso che non si esaurisce con la loro presenza nelle piazze politiche o nei ripetuti episodi di violenza e razzismo. Che questo possa condizionare il Mondiale è difficile prevederlo, considerando che le prossimi elezioni presidenziali si terranno a marzo, circa tre mesi prima l’inizio della manifestazione. La conferma di Putin dovrebbe essere garanzia di stabilità, dentro e fuori i palazzi, nonostante un’opposizione vogliosa di farsi notare dai media stranieri. Una certezza, intanto, si fa strada: non ci annoieremo, indipendentemente dalle partite.
Il Foglio sportivo