Cosa può cambiare nel calcio con l'isolamento del Qatar
Dal Paris Saint Germain alla Ligue 1, dal Barcellona al Mondiale 2020 sono molti gli interessi dell'emirato in Europa e soprattutto nel mondo del pallone. Ecco cosa potrebbe succedere
L’espulsione del personale diplomatico qatariota, degli ambasciatori e la chiusura delle rotte aeree da parte di Arabia Saudita, Bahrain, Yemen, Egitto ed Emirati Arabi Uniti ha provocato una crisi senza precedenti nell’area del Golfo tra Paesi arabi, e dagli sviluppi incerti. Uno di questi riguarda gli investimenti che il Qatar, piccolo Paese ricco di gas naturale, ha fatto in questi ultimi anni nello sport mondiale. In primis nel il calcio grazie al fondo sovrano Qatar Sports Investments diretto da Nasser Al-Khelaifi, presidente del Paris Saint Germain. Le accuse di corruzione per l’assegnazione del Mondiale 2022, quelle di Amnesty International per le condizioni disumane (e le morti) in cui lavorano molti operai indiani e pakistani nelle infrastrutture che serviranno per l’appuntamento iridato non hanno scosso più di tanto l’opinione pubblica internazionale. Semmai sono state più feroci le critiche di chi ha sempre visto nei soldi stranieri il diavolo capace di corrompere il calcio, la sua anima più vera, dimenticando che il gioco è diventato un business da miliardi di euro, un’economia più forte di tanti Stati sovrani.
Al momento il Qatar non intende abbandonare alcuno degli asset sportivi, anche perché nel tempo questi acquisti hanno rappresentato il fulcro di una diplomazia sottile che ha fatto conoscere al mondo il piccolo Paese arabo, capace attraverso i petroldollari di “pungere come un’ape e volare come una farfalla”. Ma la domanda scomoda, soprattutto in Francia, se la stanno ponendo in tanti: e se venissero improvvisamente a mancare i soldi del Qatar cosa accadrebbe? Restando nello sport, dimenticando per un attimo quindi tutti gli altri investimenti, il primo colpo lo subirebbero i diritti televisivi: beIN Sport, rete globale di canali sportivi editata da Al Jazeera e gestita dal Qatar Sports Investments, per fare concorrenza a Canal Plus e Orange, ha immesso centinaia di milioni di euro nel calcio francese, sia della Ligue 1 che della Ligue 2. Considerando anche gli altri campionati e sport si parla di 748 milioni di euro l’anno. Intanto un nuovo soggetto, SFR Sport, si è aggiudicato in Francia i diritti per la prossima Champions League, lasciando a secco Canal Plus e beIN Sport che, comunque, su indicazione di Al Jazeera, dovrebbe ridurre nel tempo il suo impegno economico, con il rischio che entrino meno soldi nelle casse dei club.
L’impatto maggiore, di fronte a un disimpegno economico qatariota, lo subirebbe ovviamente il PSG, la squadra di Parigi che in questi anni ha dominato in Francia mancando però l’obiettivo primario: la Champions League. Da quando Nasser Al-Khelaifi è presidente il Paris Saint Germain ha vinto 4 campionati (sulle 6 conquistate nella sua storia), 4 coppe di Lega (su 7), 3 coppe di Francia (su 11), 4 supercoppe francesi (su 6). Gli unici allori internazionali restano la Coppa delle Coppe del 1996 e l’Intertoto del 2001. Sul territorio nazionale ha riscritto il proprio palmares, anche se sotto il controllo del fair play finanziario ha dovuto ridurre a bilancio gli investimenti indiretti della proprietà. Adesso un nuovo accordo con la Qatar Tourism Authority per 175 milioni di euro passerà al vaglio dell’Uefa, che se lo dovesse approvare rappresenterebbe il 30 per cento del capitale societario, stimato nel bilancio 2016-17 tra i 550 e i 560 milioni di euro. Thiago Silva, Cavani, Lavezzi, Pastore, Verratti, Thiago Motta, Ibrahimovic, Draxler e Di Maria, solo per citare i più famosi, non hanno vestito e vestono la maglia del PSG per le bellezze (immense) di Parigi ma per i soldi che sono stati pagati ai precedenti club di appartenenza e a loro sotto forma di stipendio. Senza questi la competitività della squadra della capitale diminuirebbe parecchio.
Molti giocatori, non tutti di grande profilo tecnico, che sono andati a svernare nella Qatar Stars League, anche se ci sono casi di stipendi promessi e mai pagati, tornerebbero alla realtà dei campionati dilettanti, così come dovrebbe ridimensionarsi il Barcellona. I catalani, passati da Unicef a Qatar Airways, da paladini di tutto a paladini del nulla, per 100 milioni di euro in tre anni, difficilmente potrebbero trovare un’alternativa se venisse a mancare uno sponsor così munifico. Ovviamente l’affare è reciproco, poiché il Barça rappresenta da anni un brand mondiale, amato e stimato per il suo calcio e, soprattutto, le sue vittorie (difficile diventare un brand giocando bene e non vincendo niente), ma a quelle cifre è quasi impossibile trovare un altro marchio. L’unico, secondo gli analisti, potrebbe essere la Pepsi, nella decennale guerra pubblicitaria tra bevande, e quindi un ritorno degli statunitensi a investire nel football europeo, catalano in questo caso. Ma siamo e restiamo nel campo delle ipotesi, al “se” della domanda iniziale.
La crisi diplomatica minaccia più che altro gli investimenti per i Campionati del Mondo del 2022, 160 miliardi di sterline. In Francia s’ipotizzava, addirittura, una crociata di Nicolas Sarkozy contro il Mondiale qatariota con un boicottaggio da parte della Nazionale transalpina, capace di tirare dalla sua parte altre compagini europee, per far fallire l’appuntamento iridato, che per la prima volta si disputerà durante l’inverno boreale. Si giocò nel 1978 in Argentina, senza defezioni, mentre i desaparecidos venivano buttati nell’Atlantico con i voli della morte e il dittatore Videla consegnava la Coppa del Mondo alla propria squadra, difficile che non si giochi in Qatar.
Il posto del Qatar in Europa, tornando alle capitalizzazioni, potrebbe essere preso dalla Cina che ha iniziato a investire pesantemente in Italia, con Inter, Milan e adesso anche il Parma in serie B. Due facce della stessa medaglia, quella che il professore Simon Chadwick, della Salford University di Manchester, ha definito l’era del Football 3.0, quella asiatica, guidata proprio da Cina e Qatar, con la prima che spinge per organizzare la sua prima Coppa del Mondo nel 2030 (dovrà vincere la resistenza internazionale che vorrebbe farla in Argentina e Uruguay, per festeggiare il centenario dalla prima edizione) e programma di vincerla nel 2050. È una visione, corroborata dai soldi e da capacità imprenditoriali non trascurabili, senza dimenticare che il Qatar ha investito anche nell’ippica, nel ciclismo, nella pallamano, nuoto, atletica leggera, automobilismo e motociclismo. Difficile dire come finirà la crisi diplomatica, con reciproche accuse di finanziare il terrorismo islamico, se è un modo per liberarsi di un pericoloso concorrente sullo scacchiere geopolitico ed economico, ma una cosa è chiara, senza i petroldollari qatarioti lo sport mondiale, calcio in prima fila, avrebbe un contraccolpo di portata incalcolabile.