Antonio Conte festeggia la vittoria della Premier League con il Chelsea

Perché la Premier League non gode di buona salute

Francesco Caremani

Secondo un report pubblicato dalla società londinese di analisi finanziarie Vysyble dal 2008 la Premier League ha perso 2 miliardi di sterline. Il prossimo contratto per i diritti televisivi dovrebbe essere di 8 miliardi

C’è una crepa in quella che in molti, noi compresi, chiamano l’NBA del calcio contemporaneo, la Premier League. Una crepa economica che potrebbe metterne in pericolo la sostenibilità nel lungo periodo, nonostante l’ultimo contratto dei diritti televisivi, per il triennio 2016-19, abbia portato in dote 5,136 miliardi di sterline, contro i 3,081 di quello precedente. Lo scrivono, e lo argomentano, Roger Bell e John Purcell nel report “We’re So Rich, It’s Unbelievable! – The Illusion Of Wealth Within Football. 2nd Edition” pubblicato dalla società londinese di analisi finanziarie Vysyble. Secondo i quali il racconto economico del calcio si fermerebbe ai ricavi o entrate che dir si voglia e poco più, senza tenere conto del profitto, ovvero la differenza tra il ricavo totale derivante da un prodotto e il suo costo totale di produzione, stipendi, tasse, ecc. Bell e Purcell hanno introdotto quello che chiamano indice di redditività o Football Profitability Index, che può essere calcolato sul singolo club così come sull’intero campionato, stagione per stagione. Indice che si ottiene dividendo il profitto per le entrate, dato 100 il punto di pareggio se l’indice è 95 significa che una società perde 5 sterline ogni 100 entrate, se fosse 105 ne guadagnerebbe 5 ogni 100 generate.

 

Nel report sono state analizzate le ultime otto stagioni misurabili, dal 2008-09 al 2015-16, e solo nel 2013-14 l’indice della Premier League è stato vicino al punto di pareggio con un Football Profitability Index di 99.64, contro l’82.42 del 2010-11, il peggiore del periodo analizzato. In sterline, siamo passati da 9,82 perse ogni 100 entrate a 8,87 con i picchi di 0,36 e 17,58 riferiti alle due stagioni sopra indicate. In questi otto anni le entrate della Premier League sono aumentate continuamente, passando da quasi 2 miliardi di sterline a più di 3,5, nello stesso tempo, però, il profitto è sempre stato negativo toccando i meno 398,73 milioni. Nel 2013-14 i club inglesi sono stati particolarmente virtuosi con solo meno 11,44 milioni di sterline di profitto, performance contemporanea all’entrata in vigore del fair play finanziario voluto dall’Uefa e sul quale proprio questi avevano opposto le maggiori resistenze. Verrebbe così a galla una certa differenza tra i soldi generati dalla Premier League e la sua salute finanziaria, che secondo i redattori del report sarebbe pessima. La notizia è stata pubblicata sui quotidiani inglesi, ma non con l’importanza che ci si sarebbe aspettati di fronte a cifre e analisi come queste.

 

 

Considerando l’ultima stagione analizzata, 2015-16, il Leicester City ha vinto con un Football Profitability Index di 109.12 ma il Norwich City ha fatto meglio con 112.09, performance che però non ne ha impedito la retrocessione. I tre peggiori sono stati quelli dell’Aston Villa (65.82, retrocesso), del Chelsea (68.88) e del Sunderland (74.46), in pratica i Blues hanno perso 31,12 sterline ogni 100 entrate. Sui venti club di Premier League solo cinque avevano un profitto con il segno più e solo tre di questi superavano la decina di milioni di sterline. Interessante vedere anche il Football Profitability Index delle squadre che in questo periodo hanno vinto il campionato: Manchester United 124.58 (2008-09), Chelsea 64.40 (2009-10), Manchester United 98.48 (2010-11), Manchester City 55.21 (2011-12), Manchester United 102.11 (2012-13), Manchester City 82.67 (2013-14), Chelsea 85.71 (2014-15), Leicester City 109.12 (2015-16). In pratica, secondo i calcoli di Roger Bell e John Purcell, il City di Roberto Mancini ha vinto il titolo perdendo 44,79 sterline ogni 100 prodotte.

  

 

Il Manchester United è arrivato a generare entrate per oltre mezzo miliardo di sterline, distanziando di 100, 200 e anche 300 milioni le altre grandi, un gap che nemmeno i diritti televisivi sono riusciti a colmare. Ora, lasciando stare le teorie economiche che gli autori adducono per dimostrare che finanziariamente il calcio è un fallimento, la loro posizione si può sinteticamente enunciare così: “Le metriche basate sugli utili sono misure incomplete della prestazione” e non ci dicono tutto su una società di calcio e la sua salute economica. Secondo Bell e Purcell, la Premier League ha perso in queste otto stagioni 2 miliardi di sterline e il prossimo contratto per i diritti televisivi, se dovesse rispettare l’attuale trend di crescita, dovrebbe essere di 8 miliardi. Cifre impensabili per BT e Sky. L’unica via d’uscita proposta sarebbe quella di una Super Lega Europea con molti proprietari nordamericani capaci d’innestare nel Vecchio Continente il sistema delle loro leghe: franchigie senza retrocessioni, salary cap e grandi eventi televisivi. Quest’ultimo elemento rinforzato dai nuovi media quali Amazon, Google e Facebook che stanno guardando al calcio con grande interesse; insomma, più che l’NBA l’NFL. Difficile, però, dire se quest’ultima sia un’analisi o un assist.

 

 

 

 

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