Annegati & premiati
Analisi fuori sincrono di una medaglia d’oro sincronizzata ai Mondiali di nuoto sul nuovo brand nazionale: Lampedusa
Il fuori sincrono dovrebbe essere interdetto all’uso di chiunque, tolto Enrico Ghezzi. Ma guardi e riguardi gli highlight di A scream from Lampedusa, l’esercizio di duo misto di nuoto sincronizzato con cui Manila Flamini e Giorgio Minisini hanno vinto il primo oro italiano di questa specialità ai Mondiali di Budapest, e mentre dici “bravi”, ti parte un pensiero più generale, sull’Italia. O sull’attuale immagine dell’Italia nel mondo. Fuori sincrono, appunto: vinciamo solo con gli annegati.
Perché va così. Manila e Giorgio hanno iniziato l’esercizio a bordo vasca, lei in postura da morta annegata in braccio a lui, lui che lancia un urlo che lo sentirebbe anche una ong da Stoccolma. Poi dentro in acqua, bella e drammatica coreografia, detto da incompetenti. Parole di Giorgio, una volta riemerso: “Volevamo spiegare il dramma delle persone che scappano per povertà, guerra e persecuzione dai loro paesi per venire in Italia. Non per prenderci il lavoro e ucciderci, ma per disperazione. Non arrivano da noi in vacanza come turisti, ma affrontano viaggi dolorosi, fuggono dalla tragedia e spesso ne trovano altre”. Ispirarsi a Oceano mare di Baricco, magari con la coreografia di Recalcati, troppo banale, eh? Troppo piacione? E dunque, il fuori sincrono: oggi come oggi, l’Italia la premiano per Fuocoammare, annegati e ripescati. Lampedusa ha avuto il premio della pace dell’Unesco, ripescati e annegati. Nonché la gita della ex sindaca alla Casa Bianca. E Francesco, si sa, sarebbe l’unico posto dove accetterebbe di fare un due giorni di vacanze. E’ l’Italia che piace. Il problema è intendersi sul brand da esportazione. Una volta era il mare, il sole e i mandolini. Poveri ma belli (poveri ma a galla). L’icona neorealista, meridionalista, è sempiterna, ci vinsero l’Oscar persino Salvatores, persino Tornatore. Al massimo, vaghe nostalgie del boom: La Grande bellezza è uno sprofondo felliniano. La Cinquecento, con o senza Lapo. La Vespa, con o senza Audrey Hepburn. Ma sempre lì stava l’immaginario, al paese povero ma felice, nel suo eterno, pittoresco passo indietro dalla modernità.
Ora, il nuoto sincronizzato, sotto il profilo filosofico e dell’art de vivre, non ha più niente da dire dopo Aldo Giovanni e Giacomo. Ma ammettiamo pure. E’ uno sport, olimpico e leggiadro. E i nostri eroi hanno fatto la fatica della preparazione, e ci trovano l’armonia che ovviamente c’è. E hanno vinto perché sono bravi. Ma Lampedusa. Fuori sincrono, Lampedusa c’entra qualcosa. C’entra la nostra nuova iconografia e autobiografia lacrimosa, luttuosa, che alle ragazze da spiaggia preferisce le prefiche, “entriamo in acqua e spieghiamo a ritroso la storia di questa fine tragica. Non volevamo fare un esercizio carino, ma mostrare e spiegare a chi non lo sa o non vuole riflettere, la serietà di una condizione come quella dei rifugiati”. E’ un refrain psicologico entrato sotto pelle, coattivo, non lo si può scampare. Manila, ad esempio, è di Velletri. Dice: “All’inizio inizio avevamo pensato di portare un tema legato al terremoto”. Poi è venuta l’idea di Lampedusa. Vuoi mettere l’impatto? Manco Ai Weiwei con i suoi gommoni appesi a Palazzo Strozzi. C’è un eccesso di buonismo che sconfina nel cinismo, e fa il brodo con la retorica. La nostra immagine all’estero sono gli annegati. E la giuria commossa avrà detto, renzianamente: “Premiamoli a casa loro”.