Contro Neymar
Il testimonial della “ginga” si unisce al cimitero dei fenomeni, ma chi ci guadagna è il Barça
Quando avranno finito di fare la morale sul versamento di 222 milioni di euro per il cartellino di Neymar, sui 30 milioni a stagione, sui 40 milioni sull’unghia, sul 15 per cento al padre-procuratore, sul jet privato sempre pronto a lenire la saudade, sulla partecipazione agli hotel degli sceicchi qatarioti, quando avranno finito di stracciarsi le vesti sulla violazione dello spirito del fair play finanziario, ché la lettera pare rispettata, potremo finalmente trovare il tempo di dirci la verità: Neymar è il gadget più costoso della storia, un antistress per arabi annoiati, un ologramma uscito dalla Playstation che si comporta come un bullo sui campetti di Rozzano, un talentuoso pagliaccio che un giorno diverte i bambini e il giorno dopo è il protagonista di un romanzo dell’orrore. Il suo passaggio dall’avanspettacolo della Liga all’inutilità della Ligue 1 era un fatto inevitabile. Aristotele diceva che ogni cosa tende al suo luogo naturale: la pietra è attratta dal terreno, Neymar è attratto dalla vacuità calcistica, dal branding, dalle magliette vendute in Asia.
Non so se la cifra pagata per tutto questo è oscena o immorale ma non m’importa, in queste vicende il mercato è sovrano e, dirigismo delle burocrazie sopranazionali a parte, gli arabi, i russi, i cinesi, gli indonesiani o i marziani possono pagare le cifre che ritengono per comprare i giocatori che credono utili alla loro causa. Il problema, semmai, è la causa. Neymar è una sontuosa merce alla mercé della domanda e dell’offerta, e tale rimarrà almeno fino al giorno in cui Macron non lo nazionalizzerà come un cantiere navale. Ero così emozionato all’annuncio del trasferimento più oneroso di sempre che mi sono lasciato andare, e ho bevuto il brandy on the rocks. Un orrore, lo so bene, ma per gli eventi trash occorrono celebrazioni all’altezza. Il mio non è snobismo, è realismo. Il Paris Saint-Germain è il cimitero dei giocolieri ingestibili e dei fenomeni rissosi, un ricettacolo di apolidi con il senso della giocata fatta per i clic in cui ormai manca soltanto Lebron James.
Se Al Thani viene a sapere che Perisic gioca a beach volley lo compra subito per la metà di Neymar e d’estate lo piazza fisso sulla spiaggia di al Ghariya per divertire i turisti occidentali. Magari Bobo Vieri potrebbe occuparsi dell’animazione (lavora già per Bein Sports, il network sportivo di al Jazeera). Neymar è perfetto per la principesca logica dell’intrattenimento qatariota, ed è inutile prendersela con la globalizzazione o fare i nostalgici del tempo in cui i grandi giocatori non tradivano la maglia. Quante volte devo ripetere che la fine delle magliette dall’1 all’11 sulle prime ci ha spezzato il cuore ma un paio di giorni dopo ci siamo resi conto che si viveva benissimo anche senza? Neymar non è Totti e – mi pentirò del paragone – non è nemmeno Bonucci, non è un’icona né un pilastro, è un funambolo con la cresta che nel parcheggio sotterraneo del solito locale in cui quelli come lui vanno a disperdersi viene trattenuto da due guardie mentre fa brutto a dei tifosi del Barcellona che comprensibilmente vorrebbero saccagnarlo. Certe immagini non vorremmo mai vederle, sia per la canottiera che il giocatore indossa – che esempio diamo ai giovani! – sia per la miopia di questi fan illusi. Dovrebbero essere là, in mezzo alla movida, a bere sangria e a tagliare le gomme ai bus dei turisti, il trasferimento a Parigi del giocatore più scorbutico e narciso d’occidente merita festeggiamenti infiniti. Capiranno, a tempo debito, che 222 milioni sono molto meglio di un artista della “ginga” e delle sue rabone.
Il fenomenale film su Pelé ci aveva già spiegato tutto. La storia è umanamente meravigliosa, il romanzo storico impeccabile, ma stringi stringi la questione calcistica si risolve con una noiosa dichiarazione di superiorità del ballo sulla tattica, della spensieratezza sul rigore, del ritmo nel sangue sulla resistenza delle gambe. Neymar danza sul pallone, ed è forse proprio per questo che il Barcellona, società odiosa ma seria, alla fine lo ha ceduto al grande circo parigino, dove farà tante veroniche scherzando i giocatori del Nizza e forse non potrà indossare più con lo stesso agio la fascetta 100% Jesus. È notoriamente complicato districarsi fra Dio, Mammona e Maometto. Magari poi vinceranno la Champions e Neymar diventerà presidente del Brasile per acclamazione, ma intanto godiamoci il momento in cui il più abile intrattenitore in circolazione è dove deve essere.