Dalla a alla zeta
Dopo ottantaquattro giorni d’attesa inizia un campionato di calcio che promette finalmente di farci divertire tutti. Ecco perché
Ottantaquattro giorni dopo ci siamo. Parte un campionato che ha quasi abbattuto la follia della pausa invernale, ma che è ancora distante dal sogno di un’estate dispari in cui non ci sia più di un mese vero senza pallone. Ottantaquattro giorni sono un’enormità, che questo weekend di inizio serie A finalmente azzera. Ricominciamo a respirare calcio vero, dopo che però tante cose che spesso abbiamo giudicato finte quest’anno si sono improvvisamente concretizzate. Indizi di felicità pallonara arrivati dal mercato di quest’estate: il 31 agosto, giorno di chiusura delle trattative, si stima che la serie A arriverà a un giro d’affari legato ai trasferimenti di un miliardo di euro in uscita. Ovvero abbiamo ricominciato a spendere, interrompendo così la depressione di un sessioni di calciomercato fatte di soli prestiti, di scambi, di creatività mercantile a basso costo. In realtà l’inizio di tutto è stato l’anno scorso il pagamento della clausola di rescissione di Higuain da parte della Juventus: 90 milioni di euro. Ma la Juve è la Juve, dicevano tutti un anno fa, aggiungendo che il divario tra il club bianconero e gli altri della A era talmente alto che i suoi acquisti non potevano essere considerati indice di competitività del calcio italiano. Era vero e in parte lo è ancora. Ma vedere Milan e Inter tornati sul mercato comincia a riportare l’Italia nel sistema. L’impennata dei costi dei cartellini è stata improvvisa, per qualcuno sospetta. E’ diffusa, è continentale, è spinta soprattutto dalla Premier League e dai suoi ricavi che aumentano la capacità media dei club di attrarre e dunque pagare i calciatori. Alcuni altri club in Europa si aggiungono: Real, Barcellona, Paris Saint-Germain, Bayern Monaco, Borussia Dortmund, Juventus e adesso appunto Milan e Inter. I procuratori ne approfittano, legittimamente. Si va su coi prezzi, con la differenza piuttosto rilevante rispetto al passato che i costi sono oggi coperti dai ricavi futuri. Il Financial Fair Play è cosa seria, porta sanzioni e punizioni, blocchi del mercato. Dobbiamo stare relativamente tranquilli, quindi. Abbiamo gli anticorpi che il passato ci ha lasciato, così possiamo affacciarci a questa stagione con un’idea precisa: è il momento del rilancio. Del rinascimento. Il mercato è un abbrivio, ora serve tutto il resto.
Comincia una stagione fondamentale per molte ragioni. Anzi, non c’è una sola storia potenziale di quest’anno che non abbia dentro di sé il seme per diventare grande. Da dove vuoi cominciare? Con il rispetto che si deve alla Juve per quello che ha fatto in questi sei anni di dominio, è inevitabile che Milano sia il centro dell’attesa. Quello che è accaduto durante l’inverno a Inter e Milan, con i cambi societari, i dubbi (per il Milan), le attese, le aspettative e appunto il mercato, rendono Milano il perno di questo inizio di campionato: il Milan ha speso quasi trecento milioni di euro, ha cambiato otto undicesimi della formazione-tipo, comprando molti buoni giocatori, come Musacchio, Rodriguez, Chalanoglu, Andre Silva, poi due giovani con potenziale enorme, Conti e Kessie, e due campioni: Biglia e soprattutto Bonucci. Il cambio del difensore centrale della Nazionale è l’acquisto più importante del mercato, paragonabile a quello di Neymar non per dimensione economica né per rilevanza globale, ma per spessore tecnico. Secondo alcuni, come per esempio Mario Sconcerti, al Milan manca un po’ di cattiveria, di fisicità. “Se non si distrae è una bella squadra con un pubblico enorme alle spalle”. E’ soprattutto, come detto, una storia: siamo oggettivamente tutti lì, a capire dove potrà andare sportivamente e aziendalmente dopo trent’anni di Berlusconi, dopo una trattativa per la cessione molto complessa e un mercato così dispendioso (probabilmente non ancora finito). Lo schema finanziario e societario del club ha interessato tutti i più importanti esperti del mondo: Wall Street Journal, Bloomberg News, Financial Times hanno raccontato, spiegato, documentato, analizzato. Sta in piedi? Se preso come un’operazione tradizionale, ovvero un magnate che compra un club per goderne di vantaggi extraeconomici, no. Se invece lo si interpreta come un investimento finanziario le cose cambiano. Ma adesso si comincia a giocare. Adesso è campo, spogliatoio, tecnica, tattica, organizzazione, risultati.
Che poi è ciò che ci si aspetta anche dall’Inter, che le questioni societarie le ha “risolte” prima del Milan. Il club ha scelto Luciano Spalletti, che è la novità più rilevante. Perché la squadra non è cambiata come il Milan. La proprietà cinese lo scorso anno aveva sbagliato tre volte: licenziato Mancini prima dell’inizio della stagione, preso Frank De Boer senza credere fino in fondo in quel che faceva, prendere Pioli dopo un imbarazzante casting autunnale. Adesso ha preso un allenatore forte, preparato, di carattere. Uno che ha dato un’identità a ogni squadra che ha allenato, uno che ha dato alla Roma una fisionomia, un gioco e una convinzione che le hanno consentito di arrivare seconda solo dietro la Juve facendo il record storico di punti. Sì, poi c’è stato il caso Totti. E lì sono crollati tutti. Ma all’Inter questo problema non c’è, semmai c’è l’opposto. All’Inter serve tutto quello che lui può dare e può sfruttare ciò che a Roma è stato alla fine un limite e che però in una qualche misura è oggi la sua principale forza: è un allenatore abituato a lavorare in società senza un proprietario vicino, che danno pesi e responsabilità totali a gente che è quasi solo di campo. Ha capito, a Roma, che ci sono dei confini. E dentro quei confini c’è lui: fantasia, disciplina tattica, fisicità, ritmo. La squadra c’è e si sfida chiunque a dire il contrario: Handanovic, Perisic, Candreva, Brozovic, Icardi, poi sono arrivati Borja Valero e Vecino.
Va accettato che stiamo comunque parlando di squadre oggi destinate a fare il campionato per il secondo, terzo e quarto posto. La Juventus è inarrivabile, a meno di un suicidio, sia per il Milan sia per l’Inter. Sarà una stagione interessante quella dei bianconeri. Perché arriva dopo quella del record dei sei scudetti e della delusione di Cardiff. E perché la pre-season di luglio-agosto non è andata esattamente come Allegri si aspettasse. Gianni Mura, nella sua intervista al campionato, l’ha messa dietro al Napoli. Forse è un auspicio più che un’analisi. Un auspicio per l’interesse del campionato. L’addio di Bonucci, qualunque sia il motivo che l’ha provocato, sarà complesso da gestire anche se alla Juve non ne parlano molto. Dopo la sconfitta in Supercoppa con la Lazio, Allegri si è concesso solo alla tv ufficiale del club: “Ora parte una stagione difficile, perché dopo aver vinto così tanto l’asticella si alza. Ogni vittoria va gustata e vincere è una cosa eccezionale, anche se sembra che qui sia la normalità. I tifosi siano orgogliosi, giocare due finali di Champions in tre anni è cosa da pochi. Cancelliamo Cardiff: abbiamo perso perché loro erano più forti come hanno dimostrato negli ultimi anni e anche in questo inizio di stagione”. Il mercato ha consegnato quest’uscita un po’ sorprendente, ma anche ingressi eccellenti. Matuidi e Duglas Costa, ma soprattutto Bernardeschi.
Ecco, i giovani. Capitolo primo di una era in cui tutti ci credono. Arriviamo da una grande estate di Nazionali giovanili (sia la Under 20, sia la Under 21), dal campionato dell’Atalanta, dagli investimenti della Juventus e dal Milan che per necessità aveva scelto di puntare sui ragazzi. Il mercato tornato alto non s’è dimenticato dei giovani, anzi. Li ha valorizzati, premiati, messi al centro. Come se per la prima volta, davvero, l’Italia abbia reso evidente ciò che era sempre stato un esercizio retorico: è da lì che si riparte. E’ da lì che si ricomincia. Ed è sintomatico che la nuova campagna di Sky Sport in lancio nelle prossime ore abbia come testimonial cinque giovani italiani: Daniele Rugani, Alessandro Florenzi, Alessio Romagnoli, Roberto Gagliardini e Federico Chiesa. Nell’idea di Sky i ragazzi sono il simbolo: se tutti siamo convinti che calcio debba rilanciarsi per tornare competitivo ai massimi livelli, allora la rinascita parte dalla valorizzazione dei giovani campioni e dalla esaltazione dei valori che loro possono rappresentare. E’ una strategia chiara: Sky sente di aver contribuito allo sviluppo del calcio italiano, promuovendo innovazione, qualità, narrazione, emozione e non ultimo dando al calcio italiano una parte rilevante delle risorse necessarie al suo sostentamento e al suo sviluppo. Oggi continua a investire e invita tutti a fare la propria parte. L’hashtag che gira in questi giorni è #nuovinizio, il sottotesto è che il calcio riparte da tutti noi: giocatori, squadre, sponsor, chi racconta il calcio, i tifosi e tutti gli appassionati di sport. Una adunata. Un richiamo collettivo. Vogliamo tornare? Tocca a noi. Evocazione pallonara di un verso di Jovanotti: “Il mondo è tuo, di chi se lo prende”. All’Italia adesso prima del mondo tocca l’Europa. Perché tutta questa voglia di nuovo inizio, tutta questa attesa per qualcosa ha uno sbocco preciso che rende questa stagione diversa dalle ultime: il campionato che sta ripartendo porta quattro squadre italiane in Champions League. Di questo sportivamente bisognerà dire grazie, prima o poi, alla Juve. Avversari compresi. Senza le due finali di Champions in tre anni non sarebbe stato possibile. La riforma del torneo ha ridato all’Italia dignità e spazio: il 25 per cento in più di presenza nel tabellone principale dalla stagione 2018-2019 è il contrario di un dettaglio: porta denaro all’intero sistema sotto varie forme. Aiuta la competitività del campionato, aumenta la platea delle pretendenti al torneo più importante d’Europa. Quest’anno Roma e Napoli hanno tutta la responsabilità, oltre la Juventus. Entrambe sono, per ragioni diverse, altre due storie che possono essere grandi. La Roma perché affronta la più grande rivoluzione della sua epoca recente: il primo campionato del dopo Totti. Per molti s’è indebolita, effetto delle cessioni di Salah, Ruediger e Szczesny. Ha preso forse l’allenatore più interessante e riportato a casa il talento più sorprendente degli ultimi due anni di A: Lorenzo Pellegrini che dopo il recupero dall’infortunio potrebbe essere uno dei più forti centrocampisti del campionato.
Il Napoli, invece, non affronta alcuna rivoluzione e parte con l’ambizione sempre meno mascherata di mettere sotto la Juve. Per tornare a Gianni Mura: “Vi dico che il Napoli di Sarri è la squadra che più mi ricorda il Milan di Sacchi, con un’intensità forse maggiore e con interpreti di minor caratura. Evochiamo Tassotti, Galli o Costacurta, Baresi e Maldini e chiudiamola lì per non infierire su Hysaj, Albiol, Koulibaly e Ghoulam. Anche al Milan di Sacchi capitava di dominare e di perdere in casa con l’Ascoli. Di speciale, per tornare alla vostra domanda, il Napoli ha l’approccio a questo campionato. Ha confermato tutti quelli che riteneva utili, ha comprato qualche buona riserva, Ounas sembra il più quotato per dare respiro a Callejon. In sostanza, il Napoli non ha fatto mercato alto ritenendo di essere già a posto così. E’ una scelta precisa. E una responsabilità in più per Sarri. Il cinghialone non ha modi che lo porteranno a bere il tè con la regina Elisabetta, ma di calcio capisce parecchio. E dovrà essere bravo quando sceglie l’attacco. Infortunato Milik, era obbligato l’impiego della fanteria giapponese, ma adesso? Riportare Mertens su una fascia, quale che sia, sembra un’eresia”. Ci credono, a Napoli. Più di quanto ammettano. Ed è un bene, anche in questo caso per tutti, purché non si trasformi nelle lamentele che l’anno scorso hanno un po’ rovinato la sua straordinaria stagione: chi gioca prima, chi gioca dopo, chi si avvantaggia, chi preferisce la sera. Non servono e sono pretestuose. Meglio il gioco, meglio il campo, meglio la passione. Napoli ci crede. Si vede anche dalla campagna abbonamenti al San Paolo, che nonostante le proteste della primavera, va meglio delle stagioni precedenti. E’ un fenomeno condiviso, quello del ritorno allo stadio: la Juve ha chiuso la campagna abbonamenti con anticipo enorme, il Milan va verso il raddoppio della quota dell’anno precedente, anche l’Inter la supererà molto comodamente. Benissimo anche la Roma, la Lazio, il Torino, l’Atalanta così come il Verona e la Sampdoria e il Genoa. Poi le altre neo promosse: Benevento e Spal entrambe verso il record di sempre. Il calciomercato estivo quest’anno ha premuto sull’entusiasmo, generando una voglia di stadio che sembrava essere in costante e deprimente calo. Il che è ovviamente un bene per tutti. Contrariamente ai denigratori a oltranza del calcio contemporaneo, gli stadi pieni e quindi il maggior numero di abbonati possibile è un valore aggiunto soprattutto per le pay tv: esiste un’equazione sostanzialmente infallibile che porta a un aumento degli spettatori televisivi su quegli eventi in cui anche gli spettatori live fanno registrare il tutto esaurito. È una questione commerciale ed è un questione estetica: mandare in onda partite con spalti semivuoti è controproducente. La vecchia storia della tv che toglie pubblico allo stadio è appunto vecchia, nonché falsa. La ripresa del numero degli abbonati in tutti gli stadi o quasi è un indicatore tra i più interessanti per il futuro: significa che il pubblico reagisce. Significa che se offri di più, il tuo tifoso/consumatore/cliente reagisce. Significa che se investi nella squadra, così come nello stadio, così come nelle strategie di fidelizzazione puoi crescere. Significa, in sostanza, che c’è vita. C’è futuro. Un futuro che si vedrà, finalmente, anche in campo. Altra storia che può diventare grande, anzi già lo è: l’Italia da questo weekend avrà la moviola in campo. Avrà il Var : Video Assistent Refreee. Tommaso Pellizzari su Sette s’è divertito a sciogliere l’acronimo in altri significati: “Vedi, avevo ragione; Vorrei ancora rivedere; Veramente, arbitro: rigore; Vai a ranare. In calo, si spera, l’ipotesi Vincete ancora rubando!, perché le immagini qualche dubbio lo leveranno per forza. E soprattutto, quel piccolo passo in avanti per il calcio andrà nella direzione del tempo effettivo. Dirlo adesso fa ancora scandalo, ma quando ci arriveremo e smetteremo di vedere calciatori che dopo un falletto si rotolano per terra come in fin di vita (ma solo quando sono in vantaggio) non saremo troppo dispiaciuti”.
Sarà una rivoluzione. Lo è già. In attesa che arrivino gli stadi nuovi. Non siamo così lontani, non più. Abbiamo l’Allianz Stadium della Juve, il Mapei Stadium del Sassulo, la Dacia Arena dell’Udinese, si aspettano gli sviluppi di Roma, Napoli, Fiorentina. Nel frattempo vediamo quello che viene fuori a Cagliari. Dicono sia bello, funzionale, moderno, giusto. Non c’è aggettivo migliore: giusto. Per la squadra che ci gioca, per il pubblico che ci va, per le televisioni. Per noi. Per il calcio, quindi. Perché ottantaquattro giorni dopo c’è soltanto voglia di quello: di vederlo, di goderselo, di amarlo. Erano anni che non aspettavamo un inizio di stagione come questo. Ecco, abbiamo smesso di aspettare. Si comincia, guardando all’Italia e all’estero: Inghilterra, Spagna, Francia. Champions ed Europa League. Abbiamo Messi, Cristiano Ronaldo, Neymar, Guardiola, Mourinho, Klopp, Bielsa, la Juventus, l’Inter, il Milan, la Roma, il Napoli, tutte le altre nostre squadre. Abbiamo il tifo: pro e contro che sia. C’è poco di meglio nella vita.