Le parole di Mirabelli, la Fiorentina e l'insegnamento di Socrates
I dirigenti della Viola bacchettano il direttore sportivo del Milan per una battuta durante la presentazione di Nicola Kalinic. Cosa c'è sotto ad accuse e scuse non richieste
Quando Socrates arrivò in Italia, a Firenze, Massimiliano Mirabelli era poco più che adolescente. Era l'estate del 1984 e il brasiliano era sceso dall'aereo con l'estemporanea idea di adattare il calcio italiano a Socrates. Perché lui era il Dottore, laureato in medicina con la passione per la filosofia, la sua classe eccezionale, il temperamento di quei leader che trascinano la squadra alla vittoria. L'aveva fatto per anni al Corinthias, tanto da cacciare l'allenatore e portare avanti un'autogestione che portò due titoli nazionali in tre stagioni, frutto di un sistema di divisione collettiva delle responsabilità e un sistema di scelte effettuato tramite votazioni a maggioranza. L'avrebbe voluto fare anche in Italia, alla Fiorentina, perché "il calcio è uno sport collettivo e non serve che tutti corrano. Ci sono quelli che corrono e quelli che pensano". E lui pensava. Anche perché in campo gli allenamenti li saltava volentieri e alle ripetute preferiva sigarette e birre. Socrates nel nostro campionato è passato e non ce ne siamo accorti, nonostante fosse uno dei talenti più grandi che il Brasile ha visto giocare. Niente a che vedere con quello che la serie A era abituata, fossero stati anche Rivera o Mazzola, quelli che "non li conosco. Sono qui per leggere Gramsci in lingua originale e studiare la storia del movimento operaio". Socrates stoppava e calciava, correva e crossava a modo suo, dall'alto di gambe chilometriche e movimenti dinoccolati, ma perfettamente armonici. E quando Rivera rispose con un laconico "mi spiace, me ne farò una ragione" al disinteresse del Dottore, lui, qualche giorno dopo, con i tempi del filosofo, replicò: "Mazzola e Rivera mi chiedevate. Beh hanno vinto tanto. Ma là è facile farlo, là si fanno vittorie, qui calcio". Era un "là" geografico, Milano contro Firenze, centro contro provincia. E poi, mesi dopo, che il Verona volava, la Fiorentina stentava, Milan, Inter e Juventus pure e si lamentavano: "Il calcio è così, quando non si vince, inizia la sindrome di accerchiamento".
Quando Socrates parlava, nessuno trovò mai il dovere di rispondere. Erano parole, opinioni. Mazzola non rispose, Rivera sorrise, Milan, Inter e Juventus chissà. Massimiliano Mirabelli forse le ascoltava o leggeva. Da quando è diventato direttore sportivo e responsabile dell'area tecnica dei rossoneri ogni tanto parla, specie quando presenta i nuovi acquisti. E quest'estate sono stati tanti, una squadra intera. Ieri era il turno di Nikola Kalinic, croato, attaccante, ex numero nove della Viola. Uno che a Firenze non voleva stare perché, ha detto, "volevo indossare questa maglia", quella del Milan, quella con il numero 7 che fu di Shevchenko, "lo vedevo giocare da bambino, lui è un idolo". Kalinic ha 29 anni, voleva cambiare aria, è costato 25 milioni: un buon affare per tutti. Kalinic che però "basta scherzare, metti la palla dove sai, che sennò ti rifacciamo tornare di nuovo là", ha scherzato Mirabelli, ad acquisto effettuato dopo mesi di trattative.
Tutto bene? Nemmeno per sogno. Perché quel "là", lo stesso "là" geografico di Socrates, Milano contro Firenze, centro contro provincia, non è piaciuto. E non è piaciuto a tal punto che "l'ACF Fiorentina esprime stupore e dissenso per il tono utilizzato dal Direttore Sportivo di AC Milan Massimiliano Mirabelli durante la presentazione del calciatore Nikola Kalinic. I termini utilizzati dal Dirigente rossonero, che parlando della possibilità di far tornare il calciatore croato alla Fiorentina, ha usato un denigratorio “là”, appaiono totalmente fuori luogo e decisamente evitabili. Ci terremmo a ricordare al DS Mirabelli che la Fiorentina è una società importante nella quale hanno giocato campioni che hanno fatto la storia del calcio e che questo Club rappresenta Firenze, una delle città più belle e conosciute al mondo e che pertanto merita e pretende, nel riferirsi ad esso oggi e in futuro, un rigoroso rispetto".
In questa querelle Mirabelli si è scusato pubblicamente sostenendo che "se qualcuno ha percepito nelle mie parole una mancanza di rispetto, me ne scuso. Credo fosse evidente, per il tono, la mia espressione, lo stesso linguaggio del corpo, che quanto detto non voleva che essere una battuta colloquiale, certo non un contenuto dal tono denigratorio". Scuse che per una battuta ci possono anche stare, perché il calcio si è fatto corretto, almeno politicamente, e i toni, ripetono i più, devono rimanere bassi e miti. Scuse che però sono conseguenza di una forzatura viola, di una sottolineatura di "un rigoroso rispetto" che ricorda molto quell'altra frase di Socrates: "Il calcio è così, quando non si vince, inizia la sindrome di accerchiamento".