Il ritorno del Milan in Europa è un colpo al cuore per ogni tifoso rossonero
L'urna di Montecarlo impone alla squadra di Vincenzo Montella le trasferte a Vienna, Atene e Fiume. E sono ricordi di grandi vittorie e di un mistero
Dopo il doppio aperitivo estivo consumato tra Romania e Macedonia, il ritorno in Europa del Milan è stato deciso oggi al Grimaldi forum di Montecarlo che l'ora di pranzo era passato da poco. Il digestivo l'hanno servito le urne. E sono state urne gentili, perché gli impegni contro Austria Vienna, AEK Atene e Rijeka sono oltremodo abbordabili anche per una squadra rivoluzionata dal mercato che al momento vive più di entusiasmo da ritorno continentale che di consolidate geometrie tattiche, nonostante il notevole potenziale che l'amministratore delegato Marco Fassone, il direttore sportivo Massimiliano Mirabelli e i soldi cinesi hanno messo a disposizione dell'allenatore rossonero, Vincenzo Montella.
Gentili certo, ma soprattutto nostalgiche, una serie di istantanee che non possono sbiadire, un tuffo al cuore per tutti i tifosi del Milan. Perché Austria Vienna vuol dire Ernst Happel Stadion, cioè Prater, ossia 23 maggio 1990, il giorno della doppietta europea di quella squadra fantastica che fu il Milan di Arrigo Sacchi. Perché AEK Atene vuol dire Stadio olimpico Spyros Louīs, e qui il ricordo si fa doppio, Giano bifronte: prende le forme del 4-0 della creatura di Fabio Capello al Barcellona, anno domini 1994, e quelle del 2-1 della formazione di Carletto Ancelotti al Liverpool di Rafa Benitez, in quella che divenne la rivincita del tracollo rossonero di due anni prima a Istanbul. Tre Coppe Campioni (o Champions League a seconda del periodo e della riforma calcistica del momento) alzate al cielo d'Europa. Tre successi che rappresentano le ultime tre epoche vincenti dei rossoneri, che poi altro non erano che fasi una stessa èra, quella berlusconiana.
Prater e quella corsa di trenta metri che sembrava però infinita di Frank Rijkaard al sessantottesimo di una partita che il Benfica di Sven Goran Eriksson aveva cercato di addormentare prima e azzannare poi.
Atene e l'evidenza di quanto fosse giusto, appropriato e sacrosanto il cambio di nome di Savicevic da Dejan a Genio. Minuto quarantasette, lancio di Demetrio Albertini, il montenegrino ruba palla al terzino catalano Nadal e dalla linea laterale dell'area lascia partire un pallonetto che esalta ancora di più gli uomini di Fabio Capello, già in vantaggio per due gol grazie alla doppietta di Daniele Massaro.
Doppietta che tredici anni dopo replicò Pippo Inzaghi, di spalla e di dribbling a uscire e palla a entrare, alle spalle di Pepe Reina, in rete. Il Milan con la Coppa, dopo la beffa che gli aveva riservato lo stesso Liverpool dello stesso Benitez due anni prima, quando i rossoneri si fecero rimontare tre gol da una squadra – che altro poi non era che uno Steven Gerrard eccezionale.
E infine c'è Fiume, ultima trasferta europea della fase a gironi. Fiume che ha le sembianze di un uomo elegante, vestito di bianco: Ambrosio Stečić. Lui era il presidente di quello che allora era il N.K. Kvarner e che dal 1954 sarebbe diventato il Hrvatski Nogometni Klub Rijeka. Lui era uomo di cultura e di affari e di Tito aveva rispetto, ma non paura. E proprio nell'estate del 1949, Stečić propose a Tito l'impossibile: superare i confini, fregarsene della Russia e dell'America e giocare contro il Milan di Gunnar Nordahl. Per lo svedese era salito su una nave e aveva circumnavigato l'Europa, direzione Londra. Lì aveva assistito a tutte le partite della Svezia all'Olimpiade, ben attento a non farsi notare. Il diktat era uno solo: nel Regno Unito nessuno jugoslavo poteva entrare, a meno che la sua nazionale non fosse arrivata in finale. Tito ascoltò Stečić, poi accettò, che tanto la rottura con Stalin c'era già stata e la Jugoslavia era cosa sua.
Trabattoni, il presidente del Milan, era d'accordo. Milan-Rijeka e Rijeka-Milan, doppia amichevole e doppio debutto per quello che era il trio delle meraviglie, il Gre-No-Li, Green, Nordhal, Liedholm, ossia il meglio della nazionale olimpica svedese, quella che strapazzò la compagine jugoslava. Doveva essere una rivincita di club. Era tutto pronto, poi entrò la politica. Milovan Gilas, il presidente del Parlamento jugoslavo, si oppose all'idea: folle, disse; l'esercito non capirà mai una cosa del genere, insistette. Tito bloccò Stečić, che protestò, vedendo sfumare il suo sogno. Il regalo del fortissimo attaccante Stojan Osojnak alleviò il suo cuore già stanco e provato.