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Sangue, sudore e soldi sin da piccoli. La storia dell'Enbo Fight Club

Giulia Pompili

L'Mma ha nel suo dna la sfida, e quindi la scommessa. Fu il romanziere americano Chuck Palahniuk il primo a portare al grande pubblico il Fight Club

Roma. Che l’Mma, la mixed martial art, fosse un business da milioni di dollari si era capito già da qualche anno, a giudicare dai prezzi degli spazi pubblicitari durante il torneo per eccellenza, l’Ultimate Fighting Championship (Ufc). Ma lontano dalle regole etiche (ed estetiche) delle arti marziali tradizionali, l’Mma ha nel suo Dna la sfida, e dunque la scommessa. Nel 1996 Chuck Palahniuk è il primo a portare al grande pubblico il Fight Club (in Italia è uscito per Mondadori qualche anno dopo, ma in grande stile per un’opera molto pop: tradotto da Tullio Dobner e con una postfazione di Fernanda Pivano), luogo per eccellenza di una cultura underground dove l’unica regola è sopravvivere per l’incontro successivo. Gli organizzatori dell’Ultimate Fighting Championship – fondato solo nel 2014 – stanno pensando di fare in Asia parte del tour di eventi, dopo il grande successo degli “extra” a Singapore: l’Asia, spiega Ashleigh Nghiem della Bbc, potrebbe portare all’Ufc circa 50 milioni di dollari l’anno, ma il problema è che la Cina non vuole una lega americana ad organizzare eventi nel suo territorio.

E’ un tipo di protezionismo a cui si assiste spesso, non solo in Cina. Riguarda la capacità del paese in cui si introduce un nuovo tipo di competizione di creare eroi locali, ovvero una nuova classe di sportivi in grado di competere con altri paesi dove quella competizione è già tradizionale. E poi c’è il pericolo che gli altri vincano: per fare un esempio, soltanto da poco in Giappone sono stati definitivamente accettati i lottatori di sumo stranieri. E infatti sono molti i lottatori mongoli che, spinti dagli stipendi più che dignitosi, decidono di trasferirsi in Giappone, passare al sumo professionistico per qualche anno, e poi tornare a casa. I mongoli ultimamente stanno vincendo tutto nel sumo, anche perché sono motivati.

 

Non è difficile immaginare che anche il circo di luci, diritti televisivi e milioni di dollari dell’Ufc sia il sogno di alcuni lottattori fuori dai confini americani. I filippini, per esempio, che hanno una tradizione di lotta notevole. Di sicuro i ragazzini dell’Enbo Fight Club di Chengdu, nello Sichuan, in Cina. Per loro il mondo di sangue e sudore dell’Mma è un modo come un altro per fuggire dalla povertà.

 

La storia dell’Enbo Fight Club è uscita qualche settimana fa, quando è stato diffuso online un video-documentario che mostrava due ragazzini di quattordici anni combattere dentro una gabbia (la gabbia è il luogo tradizionale dei combattimenti di Mma) mentre un pubblico eccitato, intorno, scommetteva sul vincitore.

 

Il Club, fondato una ventina di anni fa da un paramilitare in pensione, sin dal 2001 è collegato a una fondazione benefica che accoglie orfani e bambini senza famiglia. Scriveva ieri Caixin, però, che ora la polizia ha aperto un’indagine per maltrattamenti, visto che i ragazzini allenati all’Mma erano tutti minorenni, e per negligenza – visto che lo studio, sempre secondo Caixin, si limita ai testi tradizionali cinesi per poche ore alla settimana. Nonostante le accuse di aver messo in piedi un business di giovani orfani, Enbo si difende dicendo al Beijing news che il club ha spese complessive per 4-5 milioni di yuan all’anno, e non si intasca un soldo dai combattimenti. Ma c’è di più: secondo varie fonti, interpellate sia da Vice sia da Caixin, nessuno dei ragazzi che è ancora nella struttura vuole tornare a casa, adesso. E tutti negano di essere stati costretti a lottare per le scommesse. Addirittura molte famiglie della zona, incapaci di mantenere i figli, avrebbero mandato i ragazzi volontariamente al Fight Club nella speranza di trovargli una strada “fuori dalla criminalità e dalla droga”. Ma il mondo delle scommesse illegali, dei combattimenti nelle gabbie, non è esattamente il mondo della legalità. Dei quattrocento ragazzini che hanno imparato a combattere all’Enbo Fight Club fino a oggi, nessuno probabilmente salirà mai sul ring dell’Ultimate Fighting Championship di Singapore.

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  • Giulia Pompili
  • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.