Il VAR uccide il romanticismo, ma almeno zittisce il complottisti
Il calcio ha saputo nei secoli assorbire nuove regole, non senza contraccolpi o crociate. La moviola in campo non fa eccezione
Il senso degli arbitri per i falli di gioco. Non è né una battuta e nemmeno una barzelletta, ma un articolo di qualche tempo fa comparso su scientificamerican.com che riprendeva, a sua volta, quello di cognitiveresearchjournal.springeropen.com dove è stato pubblicato lo studio dei ricercatori dell’Università di Lovanio, Belgio, su 20 arbitri professionisti (élite) e 19 dilettanti (sub-élite), ai quali è stato chiesto di prendere decisioni osservando video di più partite, mentre un sistema tracciava i movimenti oculari. È emerso che gli arbitri professionisti prendono decisioni migliori di quelli dilettanti (61 per cento contro il 45 per cento, cifre comunque modeste), un gap che è il risultato della preparazione e dell’esperienza: sapere dove guardare, interpretare quello che vedono e prendere la decisione corretta. “Gli occhi sono inutili se la mente è cieca”, ha affermato Werner Helsen, kinesiologo e autore dello studio. Gershon Tenenbaum, professore di Psicologia dello sport della Florida State University, ha plaudito l’esperimento, sottolineando però come il laboratorio annulli le variabili del campo che rappresentano le pressioni alle quali gli arbitri sono sottoposti, dai giocatori agli spettatori. Le conclusioni sono che gli arbitri professionisti hanno una capacità cognitiva avanzata che li aiuta a fare la scelta giusta, affinata, lo ripetiamo, da preparazione ed esperienza.
L’IFAB (International Football Association Board), che presiede le regole del gioco del calcio, ha approvato l’utilizzo del VAR il 6 marzo 2016 (prima della pubblicazione dello studio dell’Università di Lovanio), che da quest’anno è entrato in vigore nel campionato di Serie A. VAR, Video Assistant Referee, e AVAR, Assistant Video Assistant Referee, sono i due ufficiali di gara che collaborano con l’arbitro in quattro casi: validità di un gol, concessione o meno di un rigore, espulsione diretta, errore d’identità su falli e cartellini. Inoltre è stata introdotta la Goal line technology per stabilire se la palla è entrata completamente in porta oppure no. Il VAR e l’AVAR informano l’arbitro (o viceversa) su una decisione da rivedere, riguardano le immagini spiegando al fischietto cosa è successo, quest’ultimo accetta le indicazioni o rivede a sua volta le immagini a bordo campo ed è comunque lui che prende la decisione finale. L’intervento del sistema VAR non può essere richiesto dalle panchine delle due squadre.
Tutto chiaro fino a qui? E adesso scannatevi. Perché è evidente che in queste prime due giornate di campionato siano stati commessi degli errori macroscopici su falli per i quali si è deciso di non consultare il VAR, o in cui non si è ritenuto che l’arbitro dovesse rivedere la propria decisione. Ci sono già un partito pro e uno contro che discutono, nella migliore delle ipotesi, e/o si accapigliano a sproposito – nella peggiore – sui social, cercando di dimostrare gli uni la malafede degli altri.
Il calcio ha saputo nei secoli assorbire nuove regole, non senza contraccolpi o crociate. Regole che poi sono diventate di dominio (conoscenza e interpretazione) comune e sono passate in secondo piano rispetto al gioco. Ma a differenza del passaggio indietro al portiere che non poteva prenderla più con le mani, norma che ha di fatto velocizzato la ripresa dell’azione, il VAR porta con sé interruzioni, mimica, silenzi, tensioni, sorrisi e borbottii che gli stadi di calcio non conoscevano. L’aspetto più eclatante sono i recuperi monstre di alcune partite, sui quali si è aperta la crepa: troppe interruzioni, il gioco così è snaturato, sembra pallanuoto, non ci piace. Partito che trova d’accordo Buffon (che alla prima giornata l’aveva salutato con toni diversi) e Turone, tanto per dire quanto sia trasversale. Eppure l’intervento argomentato del portiere bianconero, che ha scatenato le ire, le proteste e gli sfottò degli anti juventini, dice qualcosa d’interessante che pochi hanno colto. È chiaro che avere il VAR e non usarlo perché sennò si fa notte diventerebbe ridicolo e a sua modo fazioso. Semmai, piaccia o meno (a Buffon e Turone non piace), inserisce un altro elemento, un aspetto poco considerato del calcio italiano e non solo: il tempo effettivo, che premia il merito, cioè chi fa gioco, chi domina, non chi cerca di romperlo a tutti i costi (vediamo già alcuni allenatori e giocatori tremare all’idea). Al momento non è dichiarato, ma Spal-Udinese dimostra che se l’arbitro interrompe la partita più volte, prendendo decisioni determinanti con il VAR, poi deve recuperare sette minuti, sette, per la correttezza e la validità della stessa.
Dietro l’angolo c’è il football americano, l’interruzione, l’arbitro che spiega al pubblico la decisione e la palla che ripassa ai giocatori. Insieme con l’aspetto economico degli spot e del tempo che si trascorre dentro uno stadio a seguire uno spettacolo mangiando, bevendo o seguendo i trending topics su Twitter. Il tribunale social popolare ha già emesso la sentenza: il VAR sarà la tomba dei moviolisti da bar sport, di certo giornalismo sportivo gossipparo, degli opinionisti un tanto al tifo (e al chilo). Peccato che per approfondire l’argomento manchino ancora i protagonisti principali, cioè gli arbitri e i due assistenti video che potrebbero spiegare ai tifosi il perché delle loro decisioni, con trasparenza. Aiuterebbe a svelenire l’ambiente? A leggere i social non sembrerebbe (già si parla di Milano come di città deVARizzata, dei rigori dati contro la Juventus, ecc.), eppure la percezione televisiva delle due domeniche giocate ci rimanda alcune sensazioni. La prima riguarda i giocatori e gli allenatori che di fronte a quella mimica trattengono le sceneggiate. La seconda, strettamente collegata, riguarda l’atteggiamento degli spettatori allo stadio, condizionato dal primo, che sembrano, sottolineiamo sembrano, accettare, se non con fair play, con sportiva rassegnazione la decisione tecnologica del rigore e/o della validità di una segnatura.
L’esultanza in differita non aiuta ad accettare il VAR, perché svuota l’urlo liberatorio dei calciatori, il boato di uno stadio, l’istantanea da consegnare alla storia, ma un gol valido annullato o viceversa cambierebbe in negativo la stessa e, romanticismo a parte, ci sarebbe un danno evidente e quindi un danneggiato. Riteniamo che l’utilizzo del VAR sarà molto più determinante nelle coppe europee e nei tornei per rappresentative nazionali, dove un episodio può decidere l’intera manifestazione. E subito torna alla mente il quarto di finale di Champions League Real Madrid-Bayern Monaco, con la tecnologia più che una partita sarebbe stata un’autopsia. Certamente avrebbe aiutato l’arbitro a prendere decisioni giuste.
Nel periodo in cui il VAR è stato sperimentato offline nel campionato italiano (60 incontri in tutto) si è verificato in media un intervento ogni 3,8 partite. Nel frattempo sono già spuntate classifiche con e senza il VAR dove solo Spal e Bologna sarebbero state danneggiate dal suo mancato utilizzo, ma restano numeri asettici che non approfondiscono, anzi, semmai alimentano le polemiche. Se limiterà gli errori arbitrali, se col tempo riuscirà a modificare il clima che si respira negli stadi della Serie A, se il tempo effettivo diventerà una sana abitudine, se contribuirà a sciogliere nel nulla le teorie complottiste, il VAR risulterà per quello che è, cioè un ottimo strumento. Parafrasando Kant, il calcio stellato davanti a noi, il VAR dentro di noi.