Il modello vincente del Napoli di De Laurentiis
La società di calcio, che ragiona e sgobba come un imprenditore del Nordest, funziona
Due foto per delimitare il campo di gioco. Una. Un buontempone di Twitter posta ieri la foto del ragazzo di Tiananmen che ferma da solo i carri armati: “Pechino un tifoso dell’#Inter protesta contro il governo cinese per il blocco degli investimenti a #Suning”. Due. Sul sito Spazionapoli.it uno striscione apparso in città contro Aurelio De Laurentiis: “Buffone e prepotente, Napoli è della gente”. Lo sfottò interista colpisce nel segno. Milano è ricca e globalizzata, il calcio-business è passato nelle floride mani cinesi. Però il padrone sta a Nanchino, e la sponda bauscia è a stecchetto come un club di seconda fascia. Lo striscione di Napoli, invece, è semplicemente assurdo. Napoli, nel conto economico, non vale Milano. Dal punto di vista dell’organizzazione generale, neanche. E a dirla tutta, anche mettendo a confronto le figurine dei sindaci e di certuni magistrati, Milano è messa meglio. Ma il calcio. Il calcio, oggi come oggi, no. Il Napoli S.S.C. è un fior di squadra, gioca il miglior calcio, ha campioni magnifici, un allenatore esteticamente impresentabile ma di rara bravura. Puntano in alto, come ai tempi di Maradona. In più è una società solida, con i conti in ordine. Ha chiuso il calciomercato con 3,75 milioni di perdita: un bruscolino. Secondo il sito Calcioefinanza.it il prossimo bilancio della società chiuderà a 307 milioni di euro, raddoppiando quasi l’esercizio precedente chiuso a 155 milioni. A fronte dello sprofondo delle altre big il Napoli, che fattura molto meno, ha i conti praticamente in ordine. A vincere lo scudetto i napoletani si divertirebbero di più, ma sappiano che con i conti in rosso, poi al massimo arrivano i cinesi.
Il merito di tutto questo è del padrone del vapore, Aurelio De Laurentiis. Quello cui, paradossalmente, una frangia di napoletani dà di “buffone e prepotente”. Non serve presentarlo. Produttore cinematografico di cotanta stirpe, outspoken e overdressed, padronale e antipatico, il che per altri significa avere carattere. Uno che vuole dare lustro alla città e goderne il riflesso, ma senza rovinarsi. E invece interessante è domandarsi se il Napoli di ADL sia una casualità, o un modello. E bisogna dire che sì, è un caso di scuola. Come ha fatto ADL a portare il Napoli fin qui?
Ad esempio lo scorso anno, sfidando a camicia aperta l’odio dell’intera città, ha venduto Higuaín alla Juve per 90 milioni. A tutt’oggi ci ha guadagnato lui. Nelle scorse settimane il suo portierone comprato al discount, Pepe Reina, voleva andarsene al Psg. Lui ha risposto che ha ancora un anno di contratto, e a casa sua i contratti si rispettano. Pepe ha fatto un po’ di sceneggiata napoletana, alla fine s’è detto orgoglioso di restare. Aumenti non ne concede, o molto malvolentieri. Più che con un cinematografaro sembra un armatore di baleniere. Tenere la briglia stretta e la panchina corta, a rischio di far schiattare la squadra (è quel che gli rimproverano i tifosi) è la sua filosofia. ADL è un modello anomalo, per Napoli. Perché ragiona e agisce come un imprenditore del Nordest: sgobbare, produrre, rigare dritto, i soldi non si buttano, con le banche non ci si indebita. E capitemi bene, ragazzi: gli straordinari non si pagano. In una città che ha sempre fatto dello splendore e del talento i suoi punti di forza, ma anche il suo modello dis-organizzativo e il suo limite imprenditoriale, il Napoli gestito come un’azienda padana è un bel modello. Se il resto della città, invece di chiagnere, facesse come lui.