Il tempo giusto di Ciro Immobile e i rimpianti del Milan
L'attaccante della Lazio con una tripletta affonda i rossoneri che in estate l'avevano cercato. Ora per il numero 17 biancoceleste, a 27 anni, è giunto il momento di assumersi le responsabilità
In estate si erano annusati senza incontrarsi. Il casting del Milan era stato ampio per l'attacco: da Morata ad Aubameyang, da Belotti a Diego Costa. Alla fine i rossoneri avevano deciso di andare su quanto offriva la ditta (Patrick Cutrone) e su chi veniva ritenuto più adatto al sistema di gioco di Vincenzo Montella (Nikola Kalinic). Così, pur avendo parlato con la Lazio di Ciro Immobile, alla fine era arrivato Lucas Biglia: altro ruolo, è vero, soprattutto altro atteggiamento. Perché se l'argentino sentiva ormai stretta la maglia biancoceleste, altrettanto non si poteva dire per il centravanti, che nell'altra metà di Roma ha trovato casa e che (anche) per tale motivo non si è mosso. Perché di questo aveva bisogno Immobile, di una società che lo facesse sentire importante e di un allenatore che lo valorizzasse. Così era avvenuto nella passata stagione, diventata la più bella dal suo ritorno in serie A, con quei 23 gol andati a superare il record di 22 stabilito con il Torino nel 2013-14. Quella in maglia granata era stata l'annata della consacrazione per il centravanti cresciuto ma non tenuto stretto a sé dalla Juventus. Reti e prestazioni che lo avevano condotto al Borussia Dortmund, dove avrebbe dovuto sostituire Robert Lewandowski, appena passato al Bayern. Immobile aveva il destino in mano, chiamato da Cesare Prandelli nell'Italia del Mondiale e pagato 20 milioni per sfondare in Bundesliga. Ma l'avventura in Brasile si trasforma in un flop e quella in Germania, se possibile, va ancora peggio, tra incomprensioni con Jurgen Klopp e la difficoltà ad adattarsi a una cultura calcistica come quella tedesca.
Il fallimento in Germania, seguito poco dopo da quello in Spagna con il Siviglia, conduce Immobile in uno di quei coni d'ombra che soltanto il calcio sa disegnare. Da fenomeno a sopravvalutato il passo è breve, d'altra parte il leader di quell'Italia avrebbe dovuto essere Mario Balotelli. Ma, a differenza del presunto Supermario, Immobile è fatto di tutt'altra pasta. Lui è uno di quei napoletani tosti, seri, che non mollano mai, capaci di tenere il muso con il mondo fino a quando non centrano l'obiettivo. Come avviene nella Lazio, dove è decisivo l'incontro con Simone Inzaghi, attaccante anch'egli ma non baciato dal talento come il fratello Pippo. Lui, il più piccolo di famiglia, si è costruito sul campo una carriera bella però non sfavillante come quella di chi è stato centravanti di Juventus e Milan, anche campione del mondo. E in panchina ha dovuto vincere la diffidenza di Claudio Lotito, prima attratto da nomi di grido e poi andato a chiamare, un anno fa, chi aveva già in casa. Inzaghi fa di Immobile il leader della squadra e ne viene ripagato. Tornano i gol, tornano le prestazioni in cui non si molla dal primo all'ultimo minuto, nella passata stagione come in quella attuale: due gol alla Juventus per vincere la Supercoppa, quello di Verona che apre la vittoria contro il Chievo prima della sosta e quindi la tripletta con cui viene tramortito il Milan di cui sopra, con a corredo l'assist per il 4-0 di Luis Alberto e un atteggiamento da leader vero, tale da far sorgere più di un rimpianto tra i rossoneri.
D'altra parte, a 27 anni, è giunto il momento di assumersi le responsabilità. Nel club come in Nazionale. La Lazio può essere una delle sorprese del campionato, ha uomini, allenatore e un centravanti che fa la differenza. L'Italia deve conquistare un pass al Mondiale in Russia attraverso gli spareggi di novembre. Gian Piero Ventura ha tra le mani due attaccanti già conosciuti ai tempi del Torino e che oggi sembrano giocare meglio da soli che con un compagno al fianco. La scelta tra Belotti e Immobile appare sempre più un'ipotesi di lavoro e i due stanno facendo di tutto per mettere in difficoltà il commissario tecnico. Per una scelta difficile ma, comunque, piacevole.