Chi è Sandro Pochesci, l'allenatore che ricorda Oronzo Canà e fa sognare Terni
Dal “rifiuto” di Ibrahimovic al modulo “3-7”, vita e opere del tecnico esordiente, ex portantino all'ospedale Grassi di Ostia, che ha superato lo scetticismo e conquistato i tifosi della Ternana
Quando in estate si presentò al Liberati promettendo che la sua Ternana avrebbe giocato con il 3-7 “portiere compreso, uno lo regaliamo agli avversari”, qualcuno al massimo aveva sorriso ricordando la “bi-zona” e il 5-5-5 di Oronzo Canà, “L’allenatore nel pallone” della Longobarda nel film di culto diretto da Sergio Martino nel 1984. Qualcuno in più, invece, deve averlo ascoltato non senza perplessità quando dopo un’amichevole estiva disse ai suoi di “giocare senza pensare”. “Non si può pensare in serie B – aggiunse - Se non pensiamo noi, il nostro avversario non capisce il nostro pensiero e ci troviamo in vantaggio”.
Era serio Sandro Pochesci. Serissimo anche quando nei giorni scorsi ha spiazzato il mondo del calcio spiegando che “Ibrahimovic potrebbe avere difficoltà nella nostra squadra. Lui prende palla e gioca da solo, noi giochiamo a due tocchi”. Ora però che dopo tre giornate di serie B la Ternana ha conquistato 5 punti e stupito gran parte della critica con una rosa di giocatori più o meno sconosciuti presa quasi interamente in blocco dalla Lega Pro dopo il trasferimento dell’Unicusano da Fondi a Terni, il mister romano può dire di essersi preso la prima rivincita sui “sapientoni” e “gli scienziati con la penna” che lo avevano criticato durante la preparazione estiva.
“Io so leggere, ci metto tanto per capire perché ho fatto la terza media però so leggere e capisco le sfumature” si era difeso quando sulla stampa regnava lo scetticismo per un tecnico esordiente in serie B. Uno con alle spalle un solo campionato di Lega Pro e prima una carriera intera fra i campi della periferia romana a mettere insieme stagioni dignitose fra i dilettanti (a Guidonia, Monterotondo e Ostia con due sole vittorie con Borghesiana e Tor Bella Monaca), prima categoria e promozione. “Io allenerei anche gratis, qualche volta ho anche pagato per farlo. E per la Ternana mi butto dentro al fuoco”, ripete spesso oggi Pochesci, perennemente sospeso fra lo sciamanesimo messianico e il folclorismo da macchietta. Quando si presenta ai microfoni di Sky nel post partita con la maglia della Ternana per “un omaggio ai nostri tifosi” o quando su Facebook promette, dopo la sfuriata contro la stampa seguita alla vittoria estiva contro il Partizan Tirana di Mark Iuliano e Luciano Moggi, di “non incazzarmi più, faccio incazzare gli altri… è un’ottima terapia”.
Di certo Sandro Pochesci non è un tipo banale, e non sembrano esserlo neanche le sue squadre. Piaccia o no, il tecnico classe ’63 è una variabile incontrollabile in un mondo sempre più schematizzato, prevedibile e inquadrato. E non sembra turbarlo affatto neanche il pensiero di cavalcare, spesso, pericolosamente e senza rete di protezione, il limite fra l’ironia e il ridicolo. Anzi, sembra quasi una strategia comunicativa scelta e ponderata. “La serie B – disse il giorno della presentazione – è un campionato importante ma non è vero calcio, quello è l’Europa. Il calcio italiano, tolte tre squadre è finito”. “Fare calcio senza lasciare un segno non ha senso – è una delle sua massime - Già la vita è una merda, dobbiamo essere ambiziosi per prenderci qualcosa di grande”.
Lui del resto ci ha sempre creduto. Dai tempi in cui faceva il portantino al reparto dialisi dell’ospedale Grassi di Ostia e intanto allenava (senza patentino, ufficialmente era assistente) la Viterbese in C2 beccandosi per questo anche una accusa di assenteismo per via di qualche certificato medico. “Ho allenato una vita nei campi di pozzolana”, ripete non senza orgoglio ora che ha agguantato la serie B e sabato scorso ha finalmente portato in tribuna i suoi anziani genitori per renderli orgogliosi del suo lavoro. Lui che per la famiglia ha un pensiero costante macchiato di dolore e lutto. “Mia moglie è morta il 3 dicembre di 26 anni fa – si commosse in sala stampa nel dicembre scorso dopo la vittoria del suo Fondi sul campo della capolista Foggia - volevo dedicarle qualcosa d'importante e ci sono riuscito. Mi è morta in braccio, quando mio figlio aveva solo 15 mesi. Ogni mio respiro è per lei e per i genitori per cui era la loro unica figlia. La mia impresa più grande è anche la sua”. Forse anche per questo la ricetta di Sandro Pochesci, per il calcio come per la vita, è una soltanto ed è la stessa predicata da Zdenek Zeman (non a caso uno dei suoi idoli): sacrificio e lavoro duro. Che impone a se stesso come ai suoi giocatori. “Liedolhm chiedeva sempre ad un campione del mondo come Bruno Conti di fare su e giù, perché io non dovrei pretendere il massimo sforzo dai miei ragazzi? Devono sgobbare in campo e fuori, con una mentalità sempre vincente. Io i calciatori che parlano di sacrifici li odio, sono privilegiati e devono dare il mille per cento”.
Filosofia semplice di un innamorato del calcio che ancora è capace di stupirsi. “Ma che ce sta a fare in Lega Pro il Foggia? – si chiedeva dopo l’impresa dello Zaccheria con il Fondi - Fanno 8000 presenze quando sono in contestazione, io sono già super soddisfatto se ne faccio 800”. “La curva della Salernitana è bellissima – si è meravigliato due settimane fa dopo il pareggio dell’Arechi per 3-3 fra i campani e la Ternana – Hanno sostenuto sempre la squadra anche quando stava perdendo. Questo è il calcio che piace a me”. E piace anche ai tifosi rossoverdi che lo coccolano e lo hanno adottato dopo lo scetticismo iniziale. In attesa di capire se la ricetta di Pochesci funzionerà davvero. Di certo sarà difficile centrare la promozione diretta in serie A o al peggio i play off come hanno promesso in estate l’allenatore e la nuova società del patron Stefano Bandecchi. Salvarsi sarà già un successo, anche se lui sogna in grande. “Quando dormo faccio sogni stupendi – dice – sono partito dalla prima categoria e se sognassi di fermarmi in serie B sarei uno sciocco”.