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Weah e la scuola politica del Milan di Berlusconi

Massimo Solani

In attesa dei dati ufficiali sulle elezioni in Liberia, così gli ex campioni rossoneri conquistano il mondo della politica. Ma solo all'estero

Questa volta gli serviranno più dei 15 secondi con cui l’8 settembre del 1996 si fece tutto il campo di San Siro portandosi a spasso mezzo Verona per segnare poi quello che resta forse il gol più bello mai visto al Meazza. Ma per uno che è stato il primo (ed unico, ad oggi) giocatore africano a vincere il Pallone d’Oro, che vuoi che sia qualche ora prima di sapere se riuscirà ad essere anche il primo presidente della Liberia eletto con una transizione democratica e pacifica dopo la sanguinosa guerra civile che tra il 1989 e il 2003 ha provocato oltre 250mila morti.

La commissione elettorale nazionale si è presa altro tempo prima di pubblicare i dati ufficiali e in molti sono convinti che sarà ballottaggio con l’ex vicepresidente Joseph Boakai, sostenuto dalla presidente uscente, premio Nobel per la Pace e prima donna a guida di un paese africano Ellen Johnson Sirleaf, ma nel quartiere generale di George Weah a Monrovia si fa festa già da ventiquattro ore, sicuri che i dati arrivati da gran parte delle 15 circoscrizioni elettorali consegnino all’ex calciatore di Milan e Paris Saint-Germain una vittoria inseguita dal 2004. Tredici anni fa George ci aveva provato senza riuscirci ma questa volta, dopo il seggio da senatore ottenuto nel 2014 battendo Robert Sirleaf (figlio della presidente Ellen Johnson Sirleaf), la lunga marcia di Weah sembra arrivato ad un passo dal sogno. Anche a prezzo di un abbraccio inquietante con il clan dell’ex presidente Charles Taylor (la moglie Jewel Howard è candidata alla vicepresidenza con l’ex calciatore del Milan), signore della guerra che sta scontando in un carcere inglese una pena di 50 anni per crimini contro l’umanità commessi durante la guerra civile liberiana.

 

Ci crede lui e ci credono anche i vecchi compagni del Milan, quella generazione di fenomeni che a cavallo fra le panchine di Fabio Capello, Albero Zaccheroni e Carlo Ancelotti con Weah hanno diviso spogliatoi e vittorie. Fra loro anche il georgiano Kakha Kaladze (che però a Milanello, seppur per qualche mese, non incrociò mai Weah) impegnato in questi giorni in una dura campagna elettorale per diventare sindaco di Tbilisi dopo essere stato vice-premier nonché ministro dello Sviluppo regionale e delle Infrastrutture nel governo del premier Bidzina Ivanishvili, milardario vicino a Putin. “Sarà un ottimo primo cittadino”, l’ha sostenuto un altro monumento della storia rossonera come Andriy Shevchenko, oggi commissario tecnico dell’Ucraina, facendo andare su tutte le furie la commissione elettorale georgiana.

 

Il tentativo di Sheva con la politica, invece, era stato un vero flop essendo rimasto escluso alle elezioni parlamentari del 28 ottobre 2012 visto che il suo partito, Ucraina Avanti, non ha neanche sfiorato la soglia si sbarramento.

 

Certo è che gli anni di Silvio Berlusconi al Milan, oltre a trofei e successi, hanno incubato due generazioni di allenatori più o meno vincenti (da Ancelotti a Donadoni passando per Inzaghi, Gattuso, Seedorf, Brocchi, Van Basten, Gullit e lo stesso Sheva solo per citarne alcuni) e un bel gruppo di aspiranti politici cresciuti evidentemente nel mito del capo. Solo che se all’estero le cose sono andate più o meno bene, sempre in attesa dei risultati definitivi da Monrovia, in Italia la fortuna politica non ha sorriso troppo agli ex rossoneri. Non almeno a Giovanni Galli, che Matteo Renzi nel 2009 asfaltò nella sua prima corsa da sindaco di Firenze e che nel 2014 ha provato senza successo a correre per un posto all’Europarlamento. Neanche, tutto sommato, a Demetrio Alberini che la politica ha preferito farla all’interno delle istituzioni sportive: dirigente Assocalciatori, vicecommissario federale dopo la bufera di Calciopoli e vicepresidente Federcalcio sotto Giovanni Abete ha provato la grande scalata a via Allegri nel 2014 andando a sbattere contro Carlo Tavecchio.

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