Mihajlovic si atteggia ma il suo Torino non ha un gioco né un'anima
La sconfitta di Firenze, con la rete dell'ex Benassi che il tecnico non ha voluto trattenere, rende ancora più traballante il futuro dell'allenatore granata
Nel calcio le vendette vanno servite. Poco importa che siano fredde o calde, basta che facciano male. Come quella di Marco Benassi. La passata stagione era uomo chiave del centrocampo del Torino, capitano persino. Poi, da marzo, lo scivolamento in panchina, fino a scoprirsi un esubero (a 23 anni) in estate. Colpa di un cambiamento di sistema di gioco e di un dialogo inesistente con Sinisa Mihajlovic, che non fa nulla per evitarne la cessione alla Fiorentina. E la vendetta è arrivata. Prima Benassi ha preso le misure domenica, con il primo gol in viola segnato al Benevento. Poi, nel turno infrasettimanale, ha aperto la strada a un'altra rovinosa sconfitta del Torino. Una battuta d'arresto che rende più traballante il futuro di Mihajlovic, perché le tre reti di Firenze non sono la prima figuraccia. Tutto comincia il 23 settembre con il derby, che i granata affrontano baldanzosi per una classifica che li pone a quattro punti dalla Juventus. Il campo dice quattro gol a zero per i bianconeri, il senno di poi vede quella classifica e osserva che gli undici punti erano arrivati battendo – avessi detto – Sassuolo, Benevento e Udinese.
Dopo quel giorno, il diluvio. Due punti in cinque partite, la difesa che continua a incassare gol (da sette gare consecutive), l'assenza di un punto di riferimento là davanti in mancanza di un sostituto credibile dell'infortunato Belotti. Come se tutti i nodi fossero venuti contemporaneamente al pettine, a cominciare da una squadra dall'organico troppo limitato. A onor del vero, Mihajlovic ha battuto molto su questo chiodo in estate. Ma, altrettanto pervicacemente, non ha saputo trovare alternative che tamponassero l'emergenza, a cominciare da un gioco con una sua identità. E così il Torino si trova sballottato, come il suo allenatore, infilato sul campo e protagonista di personali autogol. L'ultimo, aver risposto con un candido “chi è?” in questi giorni di polemiche sul caso Anna Frank creato dai fotomontaggi laziali della vergogna. Un atteggiamento sufficiente e fuori luogo, che ha fatto alzare più di un sopracciglio. Rivedibile anche il tentativo di difesa personale: “Non conosco Anna Frank, ma ho studiato Ivo Andric, un premio Nobel”. Magari conosce anche Elfriede Jelinek e Gustave Le Clezio, giusto per restare in questo millennio…
Ma l'uomo è fatto così. Mihajlovic preferisce attaccare piuttosto che difendere, almeno fuori del campo. Lo fa con le parole: memorabili alcuni scazzi televisivi distribuiti tra Sky e Mediaset, ma non scherza neppure dentro la cinta daziaria torinese (ultima vittima, una giornalista del posto). Lo fa con i gesti: altrettanto memorabili lo spintone al secondo Attilio Lombardo e le parolacce al team manager Luca Castellazzi per un cambio sbagliato contro il Sassuolo. E se vuole scherzare, non sa farlo con la stessa leggerezza di Vujadin Boskov, suo allenatore alla Roma e alla Sampdoria. Chiedere a Maxi Lopez e alla sua “lavatrice”, immagine adoperata per definirne il peso eccessivo. Oppure a uno sconcertato Urbano Cairo, quando ha sentito presentare il derby come una sfida tra popolo (il Torino) e padroni (Juventus). Come se il presidente granata fosse un emerito sconosciuto nel panorama imprenditoriale italiano. E mentre l'allenatore si atteggia il Torino si ritrova senza un gioco e – peccato mortale – senza un'anima. Non basta alzare la voce o lasciarsi andare a gesti clamorosi. Anche Gigi Radice ed Emiliano Mondonico lo facevano. Ma dalla panchina sapevano che cosa indicare alla squadra.
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