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Conte in Inghilterra non ne fa una giusta. Ibrahimovic è come Gesù
Londra. Spero che i rumors su Antonio Conte siano veri, e che il capelluto manager del Chelsea vada presto ad allenare il Milan: in Inghilterra ormai non ne fa una giusta. Prima si fa rimontare in casa contro la Roma in Champions League salvandosi con un pareggio, poi – orrore – va a perdere in Italia per 3-0 facendo sembrare El Shaarawy il fenomeno che non è. A quel punto, con i tabloid inglesi pronti ad avventarsi sulla sua carcassa, vince 1-0 contro il Manchester United, lanciando la prima volata della stagione a Pep Guardiola, aumentando di molto i rischi di una sua vittoria finale in Premier League, una sciagura per cui non basterà la mia riserva di brandy per uscirne indenne. Lukaku non segna più, e lo United alterna partite più brutte di un numero di Sette a striminzite vittorie per 1-0. L’attesa catartica è per il ritorno di Zlatan Ibrahimovic, che però non sembra avere troppa fretta: non solo perché ha passato il weekend in Svezia a guardare il Malmö vincere uno dei pochi campionati più insulsi di quello francese, ma anche perché lo ha detto lui stesso in un’intervista capolavoro a Thierry Henry, in onda in questi giorni su Sky Sport di mezzo mondo. Tra le chicche imperdibili di quella chiacchierata – a parte l’imbarazzante momento in cui Henry prova a dire a Ibra che non è importante vincere la Champions, e Zlatan prima abbozza e poi risponde con eleganza di non rompergli le palle, lui quella coppa maledetta la vuole alzare al cielo – segnalo il momento in cui il numero 10 dello United spiega che alla sua età (36 anni) spesso vengono dubbi sul fatto che sia ancora il caso di continuare a giocare. L’unica volta in cui non ha avuto dubbi è stato dopo la rottura del crociato: non poteva essere un infortunio a decidere che dovesse smettere, ha spiegato, il quando e soprattutto il come li deciderà lui: “E se volessi lasciare il calcio camminando sulle acque, lo farò”. Purtroppo non può essere il campionato italiano a farmi passare la mestizia per Guardiola al comando in Premier: a parte qualche sfida tra le prime, certe partite di serie A sono talmente eccitanti che il Corriere dello Sport e Tuttosport in edicola escono con i dvd di Tinto Brass, puntando chiaramente forte sui tifosi di Benevento, Verona, Genoa, Sassuolo e Milan.
Mentre l’attaccante del Liverpool Firmino vinceva, la moglie Larissa Pereira soffriva a casa per il risultato (foto via Instagram)
Quasi peggio della Ligue 1, dove Balotelli continua a fare quello che da sempre gli riesce benissimo: dare spunti alla pigrizia dei giornalisti sportivi. Chissà perché non mi sorprendo che l’attaccante del Nizza in campionato abbia segnato e poi si sia fatto espellere: vuoi mettere la soddisfazione di fare scrivere almeno una decina di pezzi su Super Mario genio e sregolatezza, decisivo-nel-bene-e-nel-male? Anche se ammetto che il capolavoro lo fa la Gazzetta, che ieri nella sua versione online batte tutti i bar di provincia chiedendosi se dopo le espulsioni di Verratti e Balotelli “gli arbitri francesi ce l’hanno con gli italiani”. Che dalla Francia non può venire nulla di buono l’ho capito in maniera definitiva venerdì, quando il Marsiglia ha messo fuori squadra Evra, reo di avere colpito in faccia un tifoso che lo insultava a bordo campo durante il riscaldamento di quella Europa League che è ormai la versione sottotitolata della Coppa Italia. Lungi da me esaltare un giocatore che picchia uno spettatore, ma annoto con preoccupazione le nuove conquiste del puritanesimo politicamente corretto: quando 22 anni fa Cantona fece la stessa cosa (ma con meno grazia), il Manchester United lo sospese formalmente ma lo aspettò per i mesi della sua squalifica, per poi riabbracciarlo in un’epica conferenza stampa. Altri tempi, altre società. Non mi stupirei se domani saltasse fuori un episodio di quindici anni fa in cui un massaggiatore venne molestato da Evra. Ma poiché le brutte notizie sono come i libri di Aldo Cazzullo, non finiscono mai e sono sempre peggiori, scopro che Andrea Pirlo ha annunciato ufficialmente l’addio al calcio. Non è questa la brutta notizia, ma lo stato delle mie facoltà mnemoniche: negli ultimi anni è stato talmente decisivo che ero convinto avesse smesso due stagioni fa.