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Rialzarsi dalla depressione post-Svezia con gli scritti di Beppe Viola

Simonetta Sciandivasci

Quando (e se) il Requiem per il calcio italiano avrà finito le note, i commiati abbisogneranno di una risata e tutti quanti noi di una consolazione adulta, la cosa migliore da fare sarà leggere lui

Beppe Viola, giornalista Rai e milanista “come tutte le persone che si rispettino”, voleva un maschio: alla quarta femmina, il ginecologo di sua moglie gli disse che era inutile insistere, gli mancavano i cromosomi, tanto valeva fare una vasectomia e buona notte al secchio. E la fece, Viola, senza storie. Scrisse: “Ho quarant’anni, quattro figlie e la sensazione di essere preso per il culo”. Sensazione e, in fondo, sentimento, di cui Viola fu prova vivente e – disperatamente ammirato – cronista, ragione, questa, tra le moltissime, per cui, quando (e se) il Requiem per il calcio italiano avrà finito le note, i commiati abbisogneranno di una risata e tutti quanti noi di una consolazione adulta, la cosa migliore da fare sarà leggere lui. Sportivo sarà lei, uscito or ora per Quodlibet, ha dentro di tutto. Canzoni, dialoghi, idee per la tv, racconti, interviste mai fatte (30 domande a Sergio Zavoli, tra cui: perché non pronunciare anche in tv la parola puttana, visto che si dice pure negli asili nido? E’ vero che certi servizi devono piacere alla moglie del direttore? E’ accaduta anche a lei quella cosa che succede a quelli bravi, in Rai: li mettono dietro una scrivania e buonanotte?).

 

Per chi non lo sapesse, Viola è morto una domenica pomeriggio del 1982, negli uffici della Rai a Milano, mentre un suo servizio su Inter-Napoli andava in montaggio. Nell’introduzione a Sportivo sarà lei, la figlia Marina racconta che, prima di allora, faticava a ricordare se suo padre facesse il giornalista o il giornalaio e che lei e le sue sorelle sapevano soltanto che “ogni tanto si poteva vedere la sua facciona alla tv che parlava di calcio, argomento che a noi non è mai interessato, per cui non lo ascoltavamo” e che, dopo che è morto, casa loro s’è zittita e ha smesso d’essere il museo del frastuono e l’osteria di famiglia di Jannacci, Gaber, Cochi e Renato, quelli della Milano imbevibile che però beveva (soprattutto “bianchino spruzzato col Campari e abbellito col limone”, leggasi Vite vere compresa la mia, sempre Viola). “Sport è… amare una femminista”, scrisse lui, ch’era ammogliato con una catto-femminista di sinistra.

 

Beffato e beffardo, sempre e che per questo fosse “vent’anni avanti”, ce ne siamo accorti con trent’anni di ritardo e lui continua comunque a farci mangiar polvere. C’è una cosa che insiste a mancare nell’idea che abbiamo del calcio e dello sport, nel nostro paese (negli altri boh, son fatti loro) e che ci sta fregando pure stavolta, facendoci scrivere che, con l’Italia esclusa dai mondiali, i millennial non avranno ricordi d’infanzia, i bambini vivranno un’infanzia menomata, piangere è virile e Morte a San Siro (Libero – il solo titolo della sua storia non contestato, neanche da Vecchioni): la storia del calcio è una cronologia perfetta del solo tratto che lo sport divide con la vita. Quale? Diciamolo con Beppe: entrambi ci prendono per il culo. Non li possiamo dominare. Non ci danno mai (quasi mai?) quello che vogliamo o che crediamo di meritare.

 

Siamo nati per inciampare in questo inganno un po’ calvinista e pure per raccontarci che no, non è vero, dobbiamo far tornare Baggio e tutto andrà bene, se Ventura avesse piazzato Insigne avremmo vinto 3 a 1 (illusi, ha scritto Jack O’Malley su questo giornale, cattivone!) e tutte le altre pittoresche rimozioni del solo dato certo del gioco, della vita. Nel caso volessimo ricordarci che quel dato esiste ma c’è pure un modo per fotterlo, ogni tanto, con Viola andremmo sul sicuro.

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