Daniele De Rossi l'ultimo giapponese della Serie A
L'idea di pallone del capitano romanista è rimasta quella dei tempi in cui ti potevi permettere gesti vigliacchi. Bastava non farsi vedere dall'arbitro. Ma il Var sta dando origine a un altro calcio
Il calcio è andato avanti ma Daniele De Rossi non se ne è ancora reso conto. Come quei giapponesi che venivano scoperti dopo anni sulle isole dell'oceano Pacifico, la Seconda guerra mondiale era finita da parecchio senza che nessuno li avesse avvisati: loro continuavano a combattere. L'idea di pallone del capitano romanista è rimasta quella dei tempi in cui ti potevi permettere gesti vigliacchi celati ai più, tranne che alla vittima. Ovvero l'avversario. Potevi ingannare l'arbitro come uno studente recalcitrante il professore di turno: era la tua azione scorretta contro due occhi, se non ti vedevano era fatta. E allora ecco il calcetto, ecco la mano in faccia, ecco il gomito largo, ecco il pugno. Una cosa a due, lontano da sguardi indiscreti. Bastava non farsi cogliere con le mani nella marmellata. Allora sì che erano guai, come al Mondiale 2006, quando De Rossi è il giovane di belle speranze su cui ha scommesso Marcello Lippi. Contro gli Stati Uniti il romanista rifila una gomitata secca a Brian McBride in un contrasto: avversario ridotto a una maschera di sangue e squalifica di quattro giornate, giusto in tempo per tornare nella finale contro la Francia e calciare uno dei rigori decisivi.
Un Mondiale che avrebbe dovuto insegnare qualcosa a De Rossi. Perché fu quello della testata non vista di Zinedine Zidane a Marco Materazzi proprio nella partita di Berlino. Non vista dall'unico che se ne sarebbe dovuto accorgere, ovvero l'arbitro Elizondo, però rilanciata in tutto il mondo dalle immagini tv e sottolineata anche dai monitor a bordo campo: la Fifa non lo ha mai ammesso, ma c'è la più che ragionevole certezza che il direttore di gara venne aiutato a decidere (il rosso per Zizou) dal quarto uomo, piazzato vicino proprio a uno dei quei monitor. Un primo esempio di moviola in campo, allora vietatissima ma diventata oggi realtà, almeno in Italia. Così un delitto che sfugge all'arbitro non viene più punito in settimana dal giudice sportivo dopo aver visionato le immagini. Il tribunale del calcio ora decide in seduta stante, senza possibilità di replica, grazie a uno studio televisivo che supporta il direttore di gara. Un studio che interviene quando l'episodio da sanzionare ricade in uno dei quattro stabiliti dalla normativa della sperimentazione Var (Video assistant referee) che si sta effettuando in Italia, una tra le poche eredità da salvare della gestione del dimissionario Carlo Tavecchio.
Come è avvenuto domenica pomeriggio al vecchio Marassi. De Rossi rifila uno schiaffo a Lapadula in area, l'arbitro Giacomelli viene allertato dal collega davanti ai monitor, verifica di persona e punisce: rosso al romanista e rigore per il Genoa, utile per firmare l'1-1 finale. Una volta le proteste in campo sarebbero state veementi, a De Rossi non è rimasto altro accettare la decisione per l'espulsione numero quindici in carriera. La conferma del doppio volto di un giocatore tanto importante in campo quanto incapace di gestire le tensioni, visto che molti di questi cartellini rossi sono stati estratti in momenti decisivi: vuoi la partita già ricordata dell'Italia, vuoi la Champions League (Bayer Leverkusen, Shakhtar e Porto), vuoi match particolarmente sentiti quali il confronto con la Lazio (pugno a Mauri), la Juventus (brutto fallo su Chiellini) o l'Inter (cazzotto a Icardi). “Dopo le botte nel derby con Parolo e Bastos mi ero ripromesso di stare più attento”, ha raccontato a fine partita, scusandosi per il gesto che ha azzoppato i suoi. Tutto inutile. Il Var sta dando origine a un altro calcio e De Rossi dovrà adeguarsi in fretta, per non trasformarsi in un fossile vivente.