That Win the Best
In mutande e manco vivi
L’Atalanta si bulla di avere battuto una squadra di morti, il Milan ha già finito la stagione
Londra. Come si fa a non volere almeno un po’ bene all’Arsenal. Non al suo manager, che come il vino troppo vecchio ha ormai perso sapore e corpo, e dovrebbe lasciare il posto a qualcuno di più fresco. I Gunners non vincono niente di serio da quando Saviano aveva i capelli, ma non esiste partita della squadra di Arsène Wenger che non valga la pena di essere vista fino alla fine. La vittoria al 92’ contro il Burnley è la venticinquesima nella storia – breve – della Premier League ottenuta grazie a un gol decisivo al 90’ o oltre. Solo il Liverpool ha fatto meglio, con 29, ma nessuno ha segnato tanto quanto l’Arsenal in quella che voi chiamate zona Cesarini: 114 reti nei minuti finali, un motivo definitivo per non fare come quei buffoni che allo stadio vanno via 5 minuti prima del fischio finale per non rimanere imbottigliati nel traffico, una pratica che considero grave quasi quanto l’essere vegani, astemi, o fan di Marco Travaglio.
La simpatica statistica, che ho letto ieri sul sito ufficiale della Premier League – luogo che frequento per riprendermi dalle brutture domenicali della serie A e dalle recenti tristezze delle inglesi in Europa – sfatava un grande mito del calcio britannico, e cioè quello del mitico Fergie Time. Stando ai numeri, infatti, il Manchester United di Sir Alex Ferguson, diventato famoso per le rimonte degli ultimi secondi, è appena sesto in questa classifica, con 18 reti segnate al 90’ o dopo. Che cosa significa questo? Come tutte le volte che si commenta una statistica, un beato cazzo: nel calcio conta quello che hai vinto con quei gol – lo United, tra le altre cose, una Champions League – conta l’impressione che rimane nei tifosi, negli avversari e in chi racconta certe imprese sportive (se non mi sentissi a un tavolo della Leopolda dicendolo, direi che conta la narrazione, ma poi andrei a bere per dimenticare di averlo detto). Non a caso ricordiamo molto di più i 18 gol allo scadere dei Red Devils che i 20 dell’Everton.
Cito l’Everton non a caso, data la figura barbina che ha fatto in Europa League contro l’Atalanta giovedì scorso. Vittoria che in Italia è stata salutata come un’impresa, forse perché i giornalisti sportivi non hanno fatto lo sforzo di guardare la classifica della seconda squadra di Liverpool: è bastato sapere che nell’Everton gica Rooney per illudersi di avere strapazzato una squadra di fenomeni: come se battere l’Orlando City di Kaká volesse dire meritare di vincere una Champions o un Pallone d’Oro. Ma a proposito di Kaká, in passerella a San Siro nel 5-1 dei rossoneri all’Austria Vienna, tremo per voi al pensiero che Vincenzo Montella andrà ad allenare la Nazionale italiana.
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Nonostante la compagna Shana Sonck lo alleni personalmente ogni giorno, l’attaccante belga dell’Huddersfield, Laurent Depoitre, non riesce a buttarla dentro: per lui solo 2 gol in Premier League quest’anno
Anche se da milanista non dormirei più all’idea dell’ennesimo ex giocatore sulla panchina della mia squadra del cuore. Dopo Seedorf, Inzaghi e Brocchi anche Gattuso vuole provare il brivido di fare flop a San Siro, dividendo i cuori dei tifosi che ancora lo ricordano con amore. Stagione buttata già a novembre per i rossoneri, che in estate erano dati in corsa per lo scudetto. Da queste parti, ma pure dalle vostre, si dice che Gattuso sia un tappabuchi per l’arrivo di Antonio Conte a fine stagione. Montella ha salutato ringraziando il Milan per l’onore che gli ha dato. Io capisco che la dirigenza non potesse fare altrimenti: l’ultima volta che il Torino non aveva subìto gol Aldo Cazzullo aveva ancora i capelli.


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