Fausto Coppi e la sua squadra mentre si allenano al sole della Riviera Ligure (foto LaPresse)

La "fabbrica" degli angeli di Fausto Coppi

Giovanni Battistuzzi

Alle 8.45 del 2 gennaio 1960 moriva l'Airone. Ora un libro racconta la storia della Siof, la squadra di ciclisti creata con l’obiettivo di trovare i fedeli custodi del Campionissimo

Roma. C’è stato un periodo nel quale le rotte della bicicletta partivano da Novi Ligure e a Novi Ligure tornavano. Anni nei quali la cittadina dell’alessandrino era celebre quanto Roma e Milano, perché terra d’elezione di campionissimi, perché origine ciclistica di quanto di meglio c’era in Italia e nel mondo. Erano gli anni che iniziarono con Costante Girardengo e finirono con Fausto Coppi, anni che videro il passaggio di un Omino e di un Airone sottobraccio con un Orbo, Biagio Cavanna, di professione massaggiatore, scopritore ed esaltatore di talenti. Un’epoca che regalò all’Italia delle biciclette forse il suo massimo splendore, un’epoca che si chiuse alle 8.45 del 2 gennaio 1960, quando Fausto Coppi chiuse gli occhi per sempre, si ritirò dalla vita ancor prima di averlo fatto dal ciclismo.

 

Il Campionissimo era nato a Castellania, poche case a nemmeno venti chilometri da Novi, luogo di nascita invece di Girardengo e Cavanna. Da lì il primo era partito per conquistare il conquistabile. Da lì il secondo aveva iniziato a provarci, prima di decidere, una volta diventato cieco, che la sua via era quella di tracciare cammini altrui, cammini che portavano a un’unica cosa: il successo, quello di Fausto Coppi. Biagio Cavanna non era solo un massaggiatore, era un demiurgo. Con le sue mani esplorava i muscoli e il futuro di chi aveva l’ambizione di correre in bicicletta, plasmava il presente di quelli che sarebbero diventati i gregari della sua creatura, l’Airone. In via Castello a Pozzolo Formigaro, paesino a qualche minuto da Novi, Cavanna nel 1943 realizzò qualcosa che per decenni fu un unicum nel panorama ciclistico, una scuola di ciclismo che anticipò di almeno 40 anni quanto fatto dalla Federazione britannica e dal Team Sky per conquistare cinque Tour de France.

 

La scienza però in Cavanna si mescolava alla magia, la preparazione fisica alla consapevolezza di correre per qualcosa di più grande di una vittoria personale. L’Orbo di Novi non creava vincenti, o meglio non era questa la sua missione, creava uomini, fedeltà a un’idea, angeli custodi disposti a tutto pur di proteggere Coppi. Cavanna era “un rabdomante che anziché l’acqua scopriva attraverso le proprie mani la linfa del campione”, radunava attorno a sé i migliori talenti in quello che fu “un incrocio fra un collegio e un monastero benedettino”, battezzandoli al culto dell’Airone. E lo fece grazie al supporto della Società italiana Ossidi di Ferro, sotto gli stessi mitici colori della Bianchi, la squadra del Campionissimo, il celeste e il bianco. Tra le mani di Cavanna passarono Sandrino Carrea, Ettore Milano, Franco Giacchero, Riccardo Filippi e Michele Gismondi, ossia niente di meno del meglio del gregariato dell’epoca. Perché molto di più di gregari, corridori eccellenti, gente che avrebbe potuto vincere, ma che ha preferito donare corpo e anima a quello che all’epoca era il migliore di tutti. Sono I portacolori della Siof (Museo del Ghisallo edizioni, 121 pp., 20 euro), non solo corridori, non solo ciclisti, soprattutto memoria di un miracolo sportivo, di una palestra di ciclismo e di vita. Storie raccolte in un volume celeste e bianco, scritto nero su bianco da Luciana Rota che da Pozzolo Formigaro è partita e che Pozzolo Formigaro, il ciclismo e Fausto Coppi conosce come pochi altri.

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