Il Capodanno di Nainggolan e lo scandalo che non c'è
Il video su Instagram del centrocampista della Roma e quell'idea a cui ancora crediamo: che i calciatori debbano sempre essere dei “bravi ragazzi”. Anche fuori dal campo
C'è un uomo con indosso un berretto, gli occhi un po' appannati che beve un cocktail indecifrabile, fluorescente. C'è lo stesso uomo che con lo sguardo in camera si accende una sigaretta per poi sbuffare il fumo fuori come fosse un ragazzino che crede ancora che avere una sigaretta in bocca faccia figo. C'è lo stesso uomo che a notte fonda gioca a tennis di nascosto, ma è un nascosto poco nascosto e molto coatto, nel senso gergale romano, con bestemmia annessa. E' la notte di Capodanno, sono video di festeggiamenti e non sembra esserci niente di male. Quell'uomo che fa festa fa sorridere, almeno per il modo fanciullesco e un po' tamarro che ha di farlo. Solo che quell'uomo con indosso un berretto e gli occhi un po' appannati è un calciatore della Roma, Radja Nainggolan. E per alcuni, tifosi in testa, questo è inaccettabile.
Siamo entrati da poco nel 2018 e da quello che si legge sembra di essere nel 1918, tanto che viene il dubbio che avesse ragione Patty Pravo in piazza a Maratea al concertone Rai dell'ultimo dell'anno. Cadere così dal pero, stupirsi e indignarsi perché un calciatore possa bere fumare e bestemmiare durante una festa, tra le altre cose lontana dagli impegni di campionato, ha un che di novecentesco, di prima dei social network, di quel periodo nel quale il calcio era solo uno sport, certo seguito e tifato, ma ancora legato a dinamiche lontane dal divismo contemporaneo. Sarà forse l'assenza di notizie del primo giorno dell'anno, sarà forse la nostra curiosità un po' morbosa, sarà il fatto che da un calciatore ci si aspetti, almeno così vorrebbero i “puristi-moralisti”, che sia un “modello” anche fuori dal campo. Per questo Nainggolan è diventato un caso.
E questo è un paradosso. Perché se un tempo di Roberto Baggio si conosceva solo cosa faceva in campo, di sua moglie c'era una foto, e della sua vita qualche immagine in Argentina con un fucile in mano o qualche parola sul Buddismo; se di Gianni Rivera e Sandro Mazzola nemmeno quello; ora è da almeno vent'anni che dei calciatori si parla come dei divi qualsiasi, si sanno veline, mogli e miracoli, girano foto di festini, di vacanze al mare, pubblicano selfie e video su Instagram, commenti su Facebook e litigate piene di parolacce con dodicenni napoletani. Insomma non c'è filtro, non c'è inganno.
L'idea degli abatini dello sport, dei monaci francescani tutto campo e famiglia, degli uomini morigerati che sacrificano una vita per la carriera sportiva è passata per anni, è stata raccontata e propagandata per molto tempo. Forse è stata anche veritiera, forse è esistita davvero. Era il racconto dei Brera e dei Minà, professionisti eccellenti, giornalisti impeccabili, ma che come tutti un tempo, dovevano fidarsi della parola, non avevano altra fonte se non i loro occhi, non c'erano altre forme di controllo se non l'appostamento e il pedinamento. Se un calciatore non faceva casini era un bravo ragazzo. Se un calciatore diceva di fare la vita da professionista, bisognava crederci.
Nainggolan non è Rivera, né Baggio. Non è un “bravo ragazzo”, almeno nel senso letterale del termine, nemmeno in campo. E' un uomo che beve e fuma e bestemmia. E con ciò? E' anche un calciatore che come pochi corre e si dà da fare, lotta e quando c'è da menare mena. Insomma il suo lo fa. E lo fa bene, da professionista impeccabile. In campo Nainggolan non manca mai, c'è sempre, forse addirittura troppo. Che poi fuori dal campo non sia un santo sono affari suoi. Che poi pubblichi sui social network quello che fa fuori dal campo, questo invece sono affari anche del commissario tecnico del Belgio, colui che vuole che i calciatori siano perfetti e rispettabili anche lontano dagli stadi, che in ritiro non vuole vedere bicchieri e sigarette. Il centrocampista della Roma non ha dato scandalo, ha solo forse messo la parola fine alla sua avventura con la nazionale belga.