Con Rino il Milan è tornato a ringhiare
Nonostante l'inizio da brividi contro il Benevento Gattuso è riuscito a dare ai rossoneri un'identità di gioco ben precisa. E ha posto le basi per un domani da grande: per sé e per la squadra
Un inizio da brividi, un presente da sogno, un futuro da costruire: sono stati due mesi e mezzo intensi per Rino Gattuso, come intensa è stata la sua carriera. In campo non si risparmiava mai, in allenamento si impegnava ancor più, conscio di come i suoi piedi non fossero stati baciati dal talento. Nessun problema, comunque. Tra Milan e Nazionale si è preso soddisfazioni e titoli, fino a salire sul tetto del mondo, in rossonero come in azzurro. Uno che era sempre meglio avere con sé che contro, per determinazione e dedizione. Gattuso è stato uno degli ultimi immortali dell'epoca berlusconiana, uno dei motivi per cui è stato chiamato in panchina quando si è cercato qualcuno che sostituisse Vincenzo Montella, esonerato dopo lo 0-0 in casa contro il Torino, e scivolato in classifica a 20 punti, in compagnia di Bologna e Chievo, tanto per capirci.
Gattuso era tornato in estate alla casa madre. Gli era stata affidata la squadra Primavera, dopo esperienze controverse tra i professionisti come l'esonero al debutto a Palermo e le dimissioni all'Ofi Creta (in Grecia) e a Pisa, dove era retrocesso in serie C dopo la promozione della stagione precedente: un curriculum fatto più di fallimenti che di medaglie. E se il settore giovanile era sembrato il bagno purificatore da cui ripartire, la chiamata in prima squadra era parsa più una mossa disperata che una scelta consapevole: il trucchetto della dirigenza per guadagnarsi la fiducia di una tifoseria in ebollizione, attraverso la promozione di uno dei giocatori più amati dalla piazza.
Dubbi che sono aumentati nella partita del debutto. Perché passi che uno pareggi in casa di un Benevento sempre sconfitto in quattordici giornate e passi che la prima rete arrivi da un ex Inter come Puscas. Ma incassare il gol del 2-2 nel recupero per un colpo di testa del portiere (Alberto Brignoli, l'autore), questo era sembrato un segno inequivocabile del destino. La forza di Gattuso è stata però quella che l'ha accompagnato per tutta la vita, ovvero lavorare per superare i propri limiti. Lui c'è riuscito entrando nella testa dei giocatori, come solo i capi dello spogliatoio del vecchio Milan sapevano fare, e mettendo mano sul campo a quelle soluzioni che Montella non aveva avuto la capacità di individuare. Due su tutte: il ritorno alla gloriosa difesa a quattro e l'individuazione di un undici titolare ben preciso, con poche alternative.
Una serie di undici partite senza sconfitte (su tre fronti: campionato, Coppa Italia ed Europa League) ha fatto dimenticare il succitato inizio da brividi. Il Milan non ha effettuato una gran risalita in termini di posizioni, Gattuso l'ha preso settimo e da domenica sera è sesto. Ha però recuperato sette punti alla Sampdoria appena sconfitta a San Siro (e agganciata in zona Europa League) e pianifica un possibile ritorno tra le prime quattro posizioni che valgono la Champions, vista la crisi dell'Inter, per esempio. I rossoneri hanno ora un'identità di gioco ben precisa, fatta di cambi di fronte, di palla veloce rasoterra e di inserimenti sulle fasce. Gattuso ha recuperato gente che si stava perdendo con Montella (Suso) o che era sembrata ipervalutata al mercato (Bonucci, Biglia, Calhanoglu e Kessie). Ha poi avuto il coraggio di dare fiducia a giovani italiani (Calabria e Cutrone), come sarebbe piaciuto a Berlusconi, e ha anestetizzato la vicenda Donnarumma, mentre il miracolo finale sarebbe far segnare André Silva. Ha allestito un presente tutto da godere ponendo, al tempo stesso, le basi per un domani da grande: per sé e per il Milan.