I primi 80 anni di Bruno Pizzul, ultima voce unica del calcio nazionale
È uno dei telecronisti che più di tutti ha segnato la storia della radio e della tv italiane. Bruno Gentili (RaiSport): “Riusciva a far parlare le immagini. Oggi sono i giornalisti a parlare sulle immagini”
Le immagini scorrevano sullo schermo. Ventun uomini con la maglia gialla e gli inserti verdi esultavano assieme. Venti uomini in maglia azzurra attendevano, abbracciandosi, il compagno fermo fuori dall'area di rigore. Davanti a lui undici metri, poco più di sette metri di larghezza e due di altezza. Sulla maglia il numero 10 e sei lettere, Baggio. Sopra il nome un codino, quello che li aveva trascinati sino a Pasadena, a quei calci di rigore. C'era uno stadio intero che faceva baccano e una voce che sormontava placida questo baccano. “Ecco Roberto (...) Alto (...) il campionato del Mondo è finito. L'ha vinto il Brasile ai calci di rigore e naturalmente è una conclusione che ci lascia con grande amarezza. Naturalmente gli azzurri non meritavano di perdere così una partita nella quale hanno esibito uno straordinario coraggio, un grande temperamento e hanno saputo far fronte ad avversari più freschi e partiti con il favore del pronostico. Il Brasile ci ha battuto ma solo ai calci di rigore”. Quel rigore sbagliato, calciato alto dal calciatore più forte, dal trascinatore di quella Nazionale che Arrigo Sacchi aveva provato a plasmare a sua immagine e somiglianza, salvo poi adattarla a immagine e somiglianza di Roberto Baggio, privò quella voce di quelle tre parole che tutti attendevano da sedici anni: “Campioni del Mondo”. Quella voce era quella di Bruno Pizzul, che oggi compie 80 anni e che, nonostante anni di telecronache, quelle tre parole non le riuscì mai a pronunciare. Eppure nonostante quella formula magica sia stata pronunciata da altri, quella di Pizzul rimane ancora l'ultima voce, unica, del calcio nazionale. La voce della nostalgia.
Una voce nazionale, perché “inconfondibile, pastosa, che si accompagnava a una sintassi perfetta, una scelta lessicale molto pulita e precisa, come il giornalismo radiofonico e televisivo richiedeva allora”, dice al Foglio Bruno Gentili, vicedirettore di RaiSport, per anni radiocronista di Tutto il calcio minuto per minuto e poi telecronista ufficiale della Nazionale Italiana di Calcio. Una voce unica che riusciva “a far parlare le immagini”, così diverso dalle telecronache attuali dove sono i giornalisti “a parlare sulle immagini” in una “moltiplicazione di voce, che al telecronista affianca il commentatore tecnico, il bordocampista, gli inviati affianco le panchine”.
Le telecronache di Pizzul erano un racconto personale, un supporto a quello che il campo da gioco mostrava che “evitava con cura di cedere al nozionismo superfluo, all'abuso di dati statistici”, li stessi che ora chiedono gli appassionati, perché “nell'attuale Babele delle comunicazioni, in un periodo nel quale tutti hanno accesso a comunicazioni e informazioni in tempo reale, il telecronista si ritrova a non essere più il centro del sistema calcio. È una voce tra tante – continua Gentili –, alle prese con un pubblico iper-specializzato e questo ha provato un salto nel modo di raccontare questo sport: un salto non tanto qualitativo, quanto quantitativo”.
Pizzul iniziò a giocare a calcio giovanissimo, al calcio offrì un fisico immenso e una intelligenza raffinata per il gioco, arrivò in serie B con il Catania, poi il ginocchio si ruppe e tanti saluti alla carriera. Si dedicò allo studio della Giurisprudenza, poi all'insegnamento di materie letterarie nelle scuole medie. Quindi il concorso in Rai e la sua prima radiocronaca l'8 aprile 1970, Juventus-Bologna, spareggio di Coppa Italia sul campo neutro di Como. Pizzul apprende il modo di raccontare il calcio alla scuola della Rai, si affianca a Nando Martellini, poi lo sostituisce durante il Campionato del mondo di Messico 1986. Da allora iniziò la sua scuola, quella che si inseriva nella tradizione della tv di stato ma che brillava per “semplicità, chiarezza ed essenzialità, che altro non sono i principi base dell'oratoria, ai quali però univa il garbo e quel tono di voce inconfondibile. E poi un'ironia raffinata e sottile”, racconta Gentili.
L'ironia che chi ha visto la Nazionale tra gli anni Novanta e Duemila ricorda in quel magnifico commento durante Italia - Corea del sud ai quarti di finale del Mondiale del 2002. La telecamera che inquadra il cartellino rosso sventolato a Francesco Totti e poi quell'arbitro equadoriano, Byron Moreno, autore di una prestazione scandalosa. Quel suo “quest'arbitro ha una faccia un po' particolare”, detto con garbo ed eleganza, capace di esprimere lo sdegno di una nazione intera senza mancare di rispetto a nessuno.
Pizzul è riuscito anche a cavalcare i tempi, ad adeguare il suo modo di raccontare il calcio adattandolo al diverso modo di giocare delle squadre. Per Gentili “ci sono state tre squadre che hanno cambiato il modo di fare le telecronache: l'Ajax degli anni Settanta con il suo gioco totalizzante e a tutto campo; il Liverpool degli anni Ottanta, quello di Bob Paisley e Joe Fagan e il suo modo di giocare a mille all'ora che ha accelerato il ritmo del racconto, ha fatto precipitare le nostre parole; e infine il Milan di Sacchi. Pizzul ha saputo raccontare tutte queste epoche in un modo eccezionale, adattandosi al calcio e non smettendo mai di narrarlo”.