Luigi Necco (foto LaPresse)

Addio a Luigi Necco, il giornalista-tifoso che raccontava il calcio di Napoli

Leo Lombardi

Se ne va a 83 anni una delle voci storiche di "90° minuto", testimone passionale di uno sport e di una città profondamente cambiati

Luigi Necco ha scelto il momento calcisticamente meno felice per andarsene. Lo ha fatto nella settimana in cui il Napoli (il “suo” Napoli) si lascia docilmente sorpassare in vetta alla classifica dalla Juventus, con un atteggiamento e con parole che sanno di resa anticipata. Lui non lo avrebbe accettato, tifoso mai nascosto degli azzurri. Una bestemmia dichiararlo per chi fa il giornalista, soprattutto il giornalista sportivo. Ma lui era così, diretto e sincero. E per questo lo amava chi seguiva “90° minuto”. Se non lo amava almeno lo rispettava, ascoltandolo in quella trasmissione che univa un paese intero alla domenica, quando le partite cominciavano tutte alle 14.30 e tutti, alle 18.30, si piazzavano davanti a Rai 1. In studio c'era Paolo Valenti, ideatore dell'appuntamento insieme con Maurizio Barendson, a gestire i collegamenti dalle sedi. Nella memoria sono rimasti Beppe Barletti da Torino, Ennio Vitanza da Milano, Giorgio Bubba da Genova, Marcello Giannini da Firenze, Pierpaolo Cattozzi da Parma, Piero Pasini (morto durante una radiocronaca) da Bologna, il commovente Tonino Carino da Ascoli (ancora oggi viene citato il suo Osusana in luogo di Osasuna, nei primi goffi tentativi di occuparsi di calcio estero).

 

E poi c'era lui, Luigi Necco da Napoli, inimitabile in un format che la Gialappa's avrebbe riproposto in chiave ironica anni dopo. Era la voce del Napoli che stava alzando la testa nel calcio, era il complice di Diego Maradona che stava guidando gli azzurri a livelli mai raggiunti prima. Necco ha raccontato gli alti e bassi della squadra e della città. Ha celebrato gli scudetti azzurri ma ha anche svelato a “90°” l'incontro di Raffaele Cutolo, boss della nuova camorra organizzata, con Antonio Sibilia e Juary (il brasiliano che festeggiava i gol girando tarantolato intorno alla bandierina del calcio d'angolo), presidente e attaccante dell'Avellino. I due incrociano il camorrista durante il processo e gli portano un medaglia d'oro come regalo, Necco vede. Un anno dopo, il 29 novembre 1981, viene gambizzato in un ristorante di Avellino da tre sicari mandati da un luogotenente di Cutolo. Come molti altri avrebbe potuto voltarsi e stare zitto. Ma più del Napoli, amava la sua terra e la sua città, che non sopportava di vedere ferita dalla criminalità. Una città per cui aveva anche lavorato cinque anni come consigliere del Pds, attento alle esigenze di tutti.

  

 

Necco resta quello delle battute feroci, dette a mezza voce in chiusura di collegamento, perché restassero maggiormente impresse nella memoria. Era quello che si faceva riprendere sempre attorniato da uno stuolo di tifosi vocianti sui gradoni del San Paolo. Era quello che esultava a braccia alzate sul campo e che rispondeva con un cordiale saluto ai tifosi nemici che lo insultavano in diretta. Era un calcio diverso, in cui gli uffici stampa non alzavano barriere invalicabili che ti impedivano di entrare a contatto diretto con i protagonisti del pallone. Accadeva perché ci si fidava l'uno dell'altro, senza l'ansia di rubare un virgolettato per sparare un presunto scoop. Si viveva tutti assieme, giornalisti, calciatori, allenatori e dirigenti, con una complicità che non scivolava mai nella smania di protagonismo. Dove oggi è tutto ovattato, perfettino, tecnico-tattico allora era cuore e passione. Necco li ha messi nel proprio lavoro finché glielo hanno consentito. Ha salutato Napoli e il Napoli poco prima di compiere 84 anni. Ora potrà raccontare gli scudetti di Maradona a chi, nel 1987, se n'era già andato e si era dovuto accontentare della scritta sul muro del cimitero: “Uagliù, nun sapit che vi sit pers!”. Solo a Napoli potevano pensarlo. E farlo.

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