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Più perdi, più guadagni: il paradosso West Ham

Francesco Caremani

Il club rischiava il fallimento, ora il fatturato è salito a 213,3 milioni di euro. Ma i tifosi sono infuriati con la società: colpa dei risultati scadenti e di uno stadio poco all'inglese

“Sto sempre a gonfiare bolle” recita l’incipit dell’inno del West Ham United, una delle storiche squadre di Londra e della Premier League, considerata a suo tempo l’Accademia del calcio inglese per la capacità di produrre talenti, cui oggi è rimasto il blasone (anche quello dei suoi tifosi) e la tradizione senza i successi sportivi. Gli ultimi due sono la Coppa Intertoto nel 1999, se si può considerare tale, e l’FA Cup nel 1980, senza avere mai vinto il campionato. Il settimo posto del 2016 è il migliore piazzamento degli ultimi dieci anni e in questa stagione è attualmente quart’ultimo con soli due punti sulla zona retrocessione e i supporter sono inferociti. E non solo per i risultati. C'è di più.

 

C'è ad esempio il rapporto Deloitte 2018, Football Money League. In questo la squadra di David Sullivan (un passato come editore di riviste pornografiche, sospettato nel 2008 di cospirazione e frode) e David Gold occupa la diciassettesima posizione grazie ai 213,3 milioni di euro (un terzo rispetto a Manchester United, Real Madrid e Barcellona) di entrate del 2017. Un fatturato migliorato rispetto a quello del 2016 (192,3 milioni), una posizione guadagnata e una situazione finanziaria migliore rispetto a a Southampton, Napoli ed Everton. E questo nonostante il West Ham sia una delle poche squadre britanniche che non è proprietaria dello stadio. Era il 27 marzo 2013 quando il club ha acquistato il diritto di giocare le partite interne di Premier League all’Olimpico, costruito per Londra 2012, per 15 milioni di sterline per 99 anni. Un accordo che Arsene Wenger, manager dell’Arsenal, ha definito “vincere alla lotteria”. Abbandonando lo storico Upton Park, con grande disappunto della tifoseria, e vendendone i terreni a privati per saldare i debiti con le banche. I conti in ordine del club erano conditio sine qua non per siglare il contratto con l’Autorità della Grande Londra che gestisce il nuovo impianto, steward compresi. Costato 600 milioni di sterline per la sua realizzazione e altri 200 per riconvertirlo al calcio, tutto denaro pubblico. La pista di atletica, però, è rimasta e l’atmosfera da “I’m forever blowing bubbles” si è ridimensionata per non dire persa, portando i tifosi dello United (come lo chiamano loro) a varie forma di protesta, più o meno civile. Non tutti hanno un’ottima visuale del campo, a maggior ragione chi sta in curva, con continui litigi tra chi vorrebbe guardare le partite in piedi (rischiando il ritiro permanente dell’abbonamento) e chi, invece, vorrebbe vederle a sedere, e gli steward, non dipendenti del club ma di chi gestisce l’Olimpico, non aiutano, tanto che la società qualche tempo fa ha chiesto l’intervento della polizia all’interno dello stadio, cosa assolutamente inusuale in Inghilterra.

 

Secondo la Football Money League le entrate del West Ham United arrivano per il 16 per cento dal botteghino (nonostante una media spettatori nel 2016-17 di 56.972 e una percentuale di riempimento del 94,95 per cento), per il 19 dal merchandising e per il restante 65 dai diritti televisivi; per il Manchester United, per esempio, questi rappresentano solo il 33 per cento delle entrate. In questi anni, poi, non sono mancati gli acquisti importanti come i 24,1 milioni di euro spesi per André Ayew nel 2016-17, i 22,30 per Marko Arnautovic e i 17,80 per Chicharito Hernandez (fonte transfermarkt.it), entrambi l’estate scorsa. Ma a questi non sono corrisposte importanti affermazioni sul campo. Sulla panchina si sono succeduti Gianfranco Zola, Avram Grant (Kevin Keen), Sam Allardyce e Slaven Bilic (con lui il settimo posto, seguito dalla mancata qualificazione ai gironi di Europa League), fino all’attuale David Moyes, letteralmente bruciato dall’esperienza al Manchester United.

 

A ben guardare i conti del West Ham United, nel 2015-16, a fronte di 158 milioni di sterline di attivo aveva un patrimonio netto di -52,3, un passivo corrente di 180,1, un’equity ratio di -33,1 per cento, un indice di solvibilità di 0,75, un indebitamento netto di -66,9 milioni e perdite per 4,9. È bastato un anno perché le perdite diventassero profitti per 43 milioni di sterline (fonte, bloomberg.com). La dirigenza ha preso la strada giusta per il futuro del club e per la sua sopravvivenza economica, sopravvivenza che un’eventuale retrocessione metterebbe a rischio peggiorando i conti e questo fa infuriare i tifosi, mentre i proprietari si sono detti disposti a vendere solo a ricchi investitori stranieri. D’altronde l’Arsenal, con i conti perfettamente a posto, da una parte e gli investimenti quasi imbarazzanti del Psg dall’altra dimostrano che nel calcio i soldi sono fondamentali ma non si traducono automaticamente in successi sportivi. E intanto continua la lotta senza quartiere che il West Ham ha dichiarato agli hooligans da anni, considerando che quelli dello United sono stati per molto tempo tra i più tristemente famosi. Così come gli scontri con le tifoserie avversarie, sempre più frequenti, sui quali la società interviene con tolleranza zero bannando a vita dallo stadio i responsabili. Un’impasse raccontata perfettamente dall’inno: “Sto sempre a gonfiare bolle, / Belle bolle nell’aria, / Volano così in alto, / Raggiungono il cielo, / E come i miei sogni svaniscono e muoiono!”. United, United.

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