Ecco perché la Juventus non può fare a meno di Khedira
Il centrocampista tedesco è più sopportato che amato dai tifosi bianconeri. Non da Allegri che lo considera un intoccabile. Contro il Milan la prova che il tecnico non sbaglia
Anche con gli svincolati occorre saperci fare. Facile dire: è a costo zero, l'unica spesa viva è quella dello stipendio. Ma questi soldi, però, occorre guadagnarseli sul campo. Adesso lasciamo stare situazioni come il Benevento, che a gennaio ha preso gente come Bacary Sagna più per disperazione che per convinzione. Guardando al passato, piuttosto, ci sono nomi quali Ashley Cole (Roma), Nemanja Vidic (Inter) o Michael Essien (Milan: oggi gioca in Indonesia…) da mandare a memoria per la fragorosa sostanza del loro fallimento. E, osservando il presente, c'è la Juventus. A un Nicolas Anelka da inserire nel dimenticatoio fanno da contrappeso giocatori come Andrea Pirlo e Paul Pogba: il primo regista di quattro scudetti, arrivato in bianconero quando tutto lo davano per finito; il secondo formidabile plusvalenza dopo aver vinto a sua volta quattro titoli (e con la sensazione, tra Manchester United e dintorni, di aver preso indietro una mezza fregatura).
E oggi? Oggi c'è Sami Khedira, abbandonato per strada come un vecchio arnese dal Real Madrid a 28 anni nel 2015, accolto nella casa bianconera e qui tirato a lucido fino a diventare un intoccabile. Vero che, all'epoca, in casa madridista qualche ragione ce l'avevano. Da quelle parti usano poca pazienza con chi attraversa momenti di fatica e il centrocampista tedesco ne stava facendo parecchia. Colpa di un brutto infortunio a metà novembre 2013, quando in un'amichevole a Milano contro l'Italia – e dopo un contrasto proprio con Pirlo – si frantuma il legamento crociato anteriore destro. Un guaio che non gli impedisce di partecipare al Mondiale 2014 e di vincerlo (salta la finale per infortunio, però segna nella partita precedente: quel 7-1 al Brasile che tutti ricordano), ma che semina dubbi nella dirigenza Real.
Dubbi che invece non appesantiscono le scelte della Juventus, dove serviva gente di sostanza e di esperienza. Khedira è tutto questo, per cultura tedesca addolcita dal dna tunisino paterno. Nella sua infanzia conosce solo Stoccarda dove nasce e impara a giocare a pallone, fino a vincere la Bundesliga nel 2007. Il ct Joachim Löw lo inserisce nel progetto della sua Nazionale multietnica a trazione germanica, fino a sceglierlo oggi come capitano: è l'uomo la cui centralità si avverte soltanto quando non c'è. E avviene sovente, visto che l'imponenza del fisico non è supportata dalla solidità muscolare. Così Khedira ha imparato a gestirsi, aspetto che alla Juventus apprezzano parecchio. È l'unico cui Massimiliano Allegri non deve dedicare marcature personali a Vinovo, sapendo che il tedesco non sgarrerà un solo momento. Un'attitudine che gli allenatori sanno cogliere al volo, non altrettanto i tifosi, così il centrocampista è più sopportato che amato: il primo a ricevere critiche quando la squadra non gira, salvo poi accorgersi di quanto sia indispensabile nel momento in cui decide di entrare in partita da protagonista.
L'ultimo esempio contro il Milan, la partita che – forse – ha nuovamente scritto la parola fine al campionato, complice il pareggio del Napoli con il Sassuolo. Allegri ridisegna la squadra nel secondo tempo, Khedira si sposta a sinistra e lì diventa implacabile. Prima il cross per la testa di Cuadrado e quindi la conclusione personale per il 3-1, celebrato in maniera insolita: un dito portato al naso per far tacere chi critica e di calcio capisce poco assai. Per lui è stata la settima rete personale di stagione, come gli era capitato solo allo Stoccarda nel 2009. In Germania il titolo è rimasto unico, qui in Italia siamo vicini al terzo consecutivo. E, come negli altri, la firma di Khedira è tra le più pesanti apposte. Con buona pace di molti tifosi.
Il Foglio sportivo - In corpore sano