Lo stupore in differita per quella rovesciata di Cristiano Ronaldo
Scusate se non parliamo di Barcellona-Roma, ma il colpo da fuoriclasse con cui CR7 ha battuto Buffon era stato anticipato dal Foglio di 14 anni fa
Non potendo narrarvi le imprese dei 22 che ieri hanno sudato sul prato del Camp Nou per un banale motivo di orario di chiusura del giornale – torniamo a casa presto, per i secondi tempi (e per le nostre famiglie naturalmente) – proviamo a rispolverare l’antico detto secondo cui non c’è nulla di più inedito dell’edito e torniamo sul gesto tecnico dell’anno, la rovesciata di Cristiano Ronaldo contro la Juventus (come gesto del decennio, va detto, ci sono prima la rovesciata di Rooney al Manchester City e il gol di Zidane al Bayer Leverkusen). Arriviamo con due giorni di ritardo, è vero, ma se la clemenza di chi legge ci permette il lusso di un’autocitazione, vi avevamo avvisati con quattordici anni di anticipo.
I lettori più affezionati e fortunati ricorderanno che durante l’Europeo del 2004 il Foglio aveva consigliato di tenere d’occhio quel ragazzone di 19 anni che giocava nel Portogallo e arrivava da una buona stagione nel Manchester United (“l’uomo vero da seguire, il calciatore di cui innamorarsi, il campione esplosivo che avrebbe fatto suo il full monty”, scriveva Stefano Pistolini a pagina 2 il 26 giugno di quell’anno). Dell’alieno che martedì sera ha affondato la Juve nel suo stadio è già stato detto tutto.
Tutti noi abbiamo un amico o un collega che ha cercato di spiegarci come Messi sia più forte, più bello, più decisivo di CR7: chi nonostante questo è rimasto saldo nella fede è stato premiato più volte in questi anni. Eppure a ogni segno di Cristiano sul campo, qualcuno si stupiva ancora – ma non era quell’altro il più forte? – tanto che il dibattito su chi sia superiore tra lui e la Pulce argentina è diventato meno appassionante di quello sull’uovo e la gallina. Dopo ogni record di gol, di vittorie, di trofei, di Palloni d’Oro, Cristiano guardava la nostra faccia stupita e con quel suo ghigno da testimonial pubblicitario nato ci diceva: “Da tanto tempo sono con voi, e ancora non mi avete conosciuto?”.
Lo faceva esultando a suo modo, indicando il prato da lui calpestato, ricordandoci che se mai avevamo ceduto all’idea banale del calciatore patinato, la cui immagine è stata costruita sui social per raccattare valanghe di sponsor stavamo sbagliando di grosso: Cristiano Ronaldo aveva vinto la sua prima Champions League da due anni quando è nato Instagram. In quell’Europeo del 2004 il mondo si accorse di lui, e ci tocca ammettere che prima del Foglio a notare la sua grandezza era arrivato Sir Alex Ferguson, l’allenatore più vincente della storia del calcio. Nell’estate del 2003 il suo Manchester United gioca un’amichevole contro lo Sporting Lisbona, lui lo vede e nell’intervallo della partita fa fermare i dirigenti della squadra portoghese: “Non ce ne andiamo finché quel ragazzo non ha firmato”.
Per capire chi è Cristiano Ronaldo basta leggere cosa scrive di quel giorno lo stesso Ferguson nella sua autobiografia: “E’ stata la mia più grande intuizione, il momento più eccitante della mia vita da allenatore”. Idolo metrosessuale di mezzo mondo, a 33 anni Cristiano Ronaldo cura il proprio fisico con una maniacalità che pochi atleti hanno. Continua a fare la differenza grazie alla serietà con cui si allena e prepara le partite. Con i suoi numeri sono stati riempiti i giornali ieri, qui basti ricordare che ha saputo essere vincente anche quando ha sbagliato (un rigore nella finale di Champions contro il Chelsea nel 2008) o era assente (nella finale degli Europei vinti dal Portogallo nel 2016, passata a bordocampo infortunato a incitare i compagni). Peccato che abbia avuto dei figli da madre surrogata, o qui al Foglio lo avremmo già suggerito come Papa per il prossimo conclave.