Mourinho ribalta Pep che vorrebbe ribaltare Klopp
Il tecnico del Manchester United ha salvato la stagione vincendo il derby, Guardiola deve fare lo stesso contro il Liverpool
Manchester. Ditegli quello che volete, che ha speso troppo per mettere insieme un squadra che ha salutato la corsa per il titolo in campionato già mesi fa, che in Champions League si è fatta eliminare da una banda di pellegrini allenata da uno esonerato dal Milan, e che forse può puntare alla consolazione della Fa Cup, come un Van Gaal qualunque. Ditegli che è ingrassato, ha spesso i capelli di chi arriva da una notte di bagordi e che nei gesti plateali a bordo campo non è più quello di una volta. Ma lo scherzo che Mourinho ha fatto sabato a Guardiola è probabilmente uno dei suoi capolavori calcistici meglio riusciti nell’ultimo decennio. I grandi allenatori si vedono anche nelle stagioni storte, quelle sfigate in cui niente sembra girare bene. Come se non bastassero i meriti di essersi liberato di Ibrahimovic, che ha ufficialmente detto addio al calcio andando a fare il bullo in un campionato di femminucce, con il derby vinto sabato, e in quel modo, Mourinho ha salvato la stagione dei tifosi dello United, e lo ha fatto nel modo a cui i fan dei Red Devils sono più affezionati, la rimonta. Alla fine del primo tempo, con il City in vantaggio per 2-0, Guardiola sembrava ancora più bello, magro, elegante e abbronzato del solito. Lo Special One, insultato e sbeffeggiato dai tifosi del City tutta la partita, appariva bolso, confuso, invecchiato e superato. Eppure Josè sapeva che a quel punto, proprio sul 2-0, a soli 45 minuti dalla conquista del titolo, in casa, contro i vicini dello United e in faccia all’odiato rivale, i Citizens avrebbero cominciato a pensare a un’altra squadra con le maglie rosse, quel Liverpool che tre giorni prima li aveva annichiliti ad Anfield. Lo sapeva Mou, perché sa che anche i giocatori e gli allenatori migliori hanno i loro cali, specie dopo risultati a sorpresa come quello dell’andata dei quarti di Champions. Il City è sceso in campo distratto, e il peggiore del primo tempo, quel Paul Pogba che era stato al centro di una sceneggiata di Guardiola in conferenza stampa, diventa il man of the match, nonostante i capelli color City (la polemica di Pep era contro Raiola, che avrebbe offerto a lui proprio Pogba – illuminante il commento di Mou: “Non me ne frega niente”). Il 2-3 finale sa di orgasmo per i tifosi dello United, e anche per lo Special One, che si è limitato ad abbracciare Guardiola, mentre dentro stava godendo come me quando stappo una bottiglia del mio brandy gran riserva.
Guardiola il campionato non lo può più perdere, ma rientrando negli spogliatoi sabato Pep pensava al fatto che martedì sera potrebbe dovere salutare la coppa che gli piaceva tanto vincere quando faceva il direttore del circo di Barcellona, oltretutto per colpa di una squadra che, a parte Salah, non verrà ricordata nella storia del calcio per la sua formidabile rosa.
Jena Frumes, fidanzata di Lingard del Manchester United, tesa durante il derby (a sinistra), festeggia con un’amica ricordando a tutti cosa conta nel calcio
Ma il calcio è l’unico sport in cui l’insieme dei fattori non basta a spiegare il risultato, né spesso a determinarlo: come spiegare altrimenti il Sassuolo che ferma il Napoli (il Milan lo avrei fermato anche io con la mia squadra di calcetto degli amici del pub) o il Torino che batte l’Inter? O ancora di più, come spiegare la Fiorentina, che prima della morte di Astori galleggiava a metà classifica come un tappo di sughero in una pozza di vino, era contestata dai tifosi, con una società pronta a vendere al primo che fosse passato sul lungarno, e adesso non smette più di vincere? Eppure i giocatori sono gli stessi, l’allenatore pure. Che cosa trasforma un gruppo di giocatori normali in un gruppo vincente resterà sempre un mistero sconosciuto ai più, come l’identità di Elena Ferrante, il ghostwriter di Saviano e il modulo di accredito agli eventi del M5s.