Il calcio secondo Cohn-Bendit, contro il catenaccio italiano. Un memoir
"C’è un paese dell’Europa dell’ovest dove il cambiamento portato dal ’68 non ha avuto alcun effetto nel calcio che si giocava e si continua a giocare: l’Italia"
Parigi. A Daniel Cohn-Bendit non piacciono gli anniversari. E ora che è giunto il momento dell’anniversario degli avversari, i cinquant’anni del Maggio parigino di cui fu una delle figure centrali, si inventa ogni scusa possibile pur di non partecipare alle commemorazioni pubbliche e alla logorrea mediatica. Oggi “Dany Le Rouge” è un macronista libero, che ammette con l’abituale franchezza di aver sparato anche “molte cazzate” con i suoi camarades sessantottini di Nanterre, e preferisce parlare di calcio, l’altra sua grande passione assieme alla politica. “Sous les crampons…la plage. Foot et politique: mes deux passions” è la nuova biografia di questo intellettuale libertario, nato in Francia da genitori ebrei tedeschi, che a settantatré anni continua a contribuire con vivacità e freschezza al dibattito delle idee. Sotto i tacchetti, in questo appassionante album di ricordi, c’è la spiaggia, quella brasiliana anzitutto, tra saudade e gioia di vivere, dove sono cresciuti due dei suoi idoli: Pelé e Sócrates. Del primo, del “re del football”, ricorda con nostalgia i gol nel Mondiale del ’58, che fecero scoprire il suo talento al mondo intero; del secondo, cui ha dedicato anche un documentario, “Sur la route avec Sócrates. Foot, Brésil et politique”, si innamorò perdutamente per l’indole rivoluzionaria, dentro il campo con l’esperienza unica della Democracia Corinthiana, il socialismo applicato al calcio, e fuori con Diretas Já e la lotta contro la dittatura militare. “Dany il ‘68 è qui! L’autogestione siamo noi! Tu ne parlavi, noi l’abbiamo fatta!”, gli disse Sócrates nel 1984. Una frase che rimarrà per sempre impressa nella sua mente.
Lungo le duecento pagine di questa biografia atipica, scritta a quattro mani con l’amico Patrick Lemoine, Cohn-Bendit crea continui ponti tra politica e palla rotonda, criticando le derive del “foot-business” di oggi e difendendo un’idea di calcio festoso, generoso e arrembante, un calcio che definisce “di sinistra”, di cui l’Argentina di Menotti, che vinse la Coppa del mondo ’78, fu l’emblema. A questo stile oppone il calcio “di destra”, conservatore, quello italiano, del catenaccio. “C’è un paese dell’Europa dell’ovest dove il cambiamento portato dal ’68 non ha avuto alcun effetto nel calcio che si giocava e si continua a giocare: l’Italia. Perché se è vero che l’apertura si è imposta nella società italiana, come in tutte le altre, è vero anche che il catenaccio, simbolo del ‘calcio di destra’, non ha mai vacillato”, scrive Cohn-Bendit, con quel malcelato fastidio tipico dei francesi che non hanno ancora digerito la sconfitta bruciante dei Mondiali del 2006.
A proposito della Mannschaft, come viene chiamata in Francia la selezione tedesca, Cohn-Bendit ha un sentimento molto particolare, che risale al dramma nazionale del 1982, alla maledetta notte di Siviglia, quando Platini e i suoi compagni uscirono immeritatamente in semifinale, lasciandosi dietro mille rimpianti, sullo sfondo dello scontro epico tra il portiere della Germania Harald Schumacher e il difensore francese Patrick Battiston. “Sono sempre stato contro la Germania”, dice Dany, ricordando con amarezza il mondiale spagnolo, “una ferita inguaribile”. L’ex eurodeputato, che nel 2009 registrò il record storico per gli ecologisti alle elezioni europee (16,28 per cento di suffragi), alza la voce contro la tendenza di molti intellettuali a considerare il calcio una robaccia per il popolo, uno spettacolino noioso dove “ventidue persone tirano calci a un pallone”, raggiungendo in questa critica un altro pensatore francese, Jean-Claude Michéa, autore del delizioso volume “Il goal più bello è stato un passaggio”, uscito in Italia per Neri Pozza. Cohn-Bendit racconta fieramente le sue urla e i suoi insulti, le prese in giro di suo figlio che gli dice “papà ma come ti comporti?” e tutti quegli atteggiamenti irrazionali e inspiegabili di un tifoso appassionato. Di calcio, dice, parla molto anche con il presidente. “Macron è come Zidane, perché ha rivoluzionato la politica come Zizou ha fatto con il calcio”.