Con i tre gol al Napoli Simeone ha smesso di essere "figlio di..."
L'attaccante della Fiorentina riporta la squadra di Sarri a quattro punti dalla Juventus. E Giovanni prosegue l'opera di affrancamento dal padre
Per segnare la prima doppietta in Italia si era concesso un palcoscenico di eccezione: due gol in dieci minuti alla Juventus, il 27 ottobre 2016, 3-1 per il Genoa. E tutti avevano scoperto Giovanni Simeone. Per la prima tripletta ha saputo fare ancora meglio. Ci ha pensato nel tardo pomeriggio di domenica, tutto suo il 3-0 con cui la Fiorentina ha affossato il Napoli, alla prima sconfitta esterna in campionato, arrivata dopo 547 giorni di imbattibilità lontano dal San Paolo. Tre gol per mettere un sigillo personale alla partita e al campionato tutto, ricacciando la squadra di Maurizio Sarri a meno quattro dalla capolista Juventus, a tre giornate dalla fine del campionato. Simeone lo ha fatto a modo suo, con la sfrontatezza dei ventidue anni e con il repertorio di attaccante formidabile nell'aggredire la profondità giocando sull'ultimo difensore (vedi gli scatti per la prima e la terza rete) oppure rapinoso in area (vedi il 2-0). Oltre a questo, aveva avuto anche il merito di aver lasciato il Napoli in dieci dopo una manciata di minuti, rapido a involarsi verso la porta prima di essere abbattuto da Koulibaly, passato in una settimana dalla gloria del gol decisivo a Torino al rosso di Firenze. L'ingresso del burroso Tonelli e gli imbarazzi di Mario Rui hanno fatto il resto.
Con 13 gol all'attivo Simeone ha già battuto il record personale in serie A, realizzato la passata stagione al Genoa (12). Con la tripletta al Napoli ha proseguito nell'opera di affrancamento dal padre, tanto famoso quanto ingombrante qual è Diego Simeone. Uno che è stato importante ieri da calciatore (con otto stagioni in Italia tra Pisa, Inter e Lazio) come lo è oggi da allenatore, capace di plasmare l'Atletico Madrid a propria immagine e somiglianza fino a fargli rompere nel 2014 il duopolio Real Madrid-Barcellona in Liga. Giovanni e Diego si vogliono un bene dell'anima, ma il primo ha sempre fatto di tutto per distinguersi dal secondo. A cominciare dal soprannome. In Argentina, quando si è figli d'arte, si prende quello del padre, con suffisso diminutivo. Pipa-Pipita, come i due Higuain. Diego era il Cholo, per quel volto particolare che caratterizza chi viene fuori da un miscuglio di razze. Un meticcio. Ma Giovanni ha sempre rifiutato di essere chiamato Cholito, anche se lo è per tutti, per comodità. Del padre ha preso la determinazione (“Gli altri parlano, tu allenati” uno dei suoi mantra), del padre vuole essere più bravo: “Nel corso del tempo ho voluto dimostrare che io sono Giovanni. Non è facile convivere con la sua grandezza, per questo diventerò più forte di lui”.
Al River Plate deve far capire che ci è arrivato per qualità e non per nome. Ramon Diaz, uno che è passato dalla Fiorentina, lo porta ad allenarsi in prima squadra quando ha 16 anni e dopo averlo visto fare 26 gol in 22 partite con l'Accademia. Debutta nel campionato argentino, nel 2015 attira l'attenzione del Palermo, ma lui preferisce andare in prestito al Banfield, allenato da Matias Almeyda, amico di papà e con lui campione d'Italia alla Lazio nel 2000. Arrivano 12 reti in 31 gare e il secondo assalto della serie A. Lo cercano Genoa e Pescara, finisce in rossoblù per 5 milioni. L'ennesimo buon affare fiutato in Sud America da Enrico Preziosi, che la scorsa estate lo cede per 15 milioni (più bonus) alla Fiorentina. In viola patisce l'attenzione riservata a Federico Chiesa, altro figlio d'arte, ma i gol arrivano, vincenti e importanti, come scoprono Milan, Inter, Roma e, buon ultimo, il Napoli. Papà gode da lontano, senza mettergli pressioni. Non gli dice mai: “Hai giocato bene”. Piuttosto butta lì: “Avevi una faccia che non mi piaceva”, a conferma di come in casa Simeone – a cominciare da nonno Carlos, il critico più feroce – il carattere venga prima di tutto. Carattere ma anche classe, che sta guidando passo dopo passo Simeone junior a provare a essere più bravo del padre. Ha un contratto con i viola fino al 2022, in estate molti lo cercheranno e ci sarà una sola certezza: lui non andrà mai al Real Madrid, per rispetto del padre.