I rischi per la Serie A dopo la sentenza su MediaPro

Francesco Caremani

Il tribunale di Milano accoglie il ricorso di Sky. Cosa succede ora e perché la decisione dei giudici preoccupa, e non poco, le società di calcio

“Abbiamo un giudice”, avranno pensato nella sede italiana di Sky, ma al momento l’unica certezza è che il campionato di serie A, con inizio previsto per il prossimo 19 agosto, rischia di partire senza copertura televisiva. Il tribunale di Milano, infatti, ha dato ragione alla società di Rupert Murdoch che aveva fatto ricorso contro il bando (il quale, tra le altre cose, era stato fatto senza prevedere cifre minime) di MediaPro, che ha acquistato dalla Lega i diritti televisivi per 1.050 milioni di euro l’anno per tre stagioni, 2018-21, come intermediario (ruolo che per anni è stato svolto dall’advisor Infront), la quale avrebbe dovuto poi rivenderli alle varie piattaforme. Una rivendita che da bando prevedeva prodotti di 270 minuti, comprensivi di pre e post partita, telecronache, e anche la pubblicità o pagare di più per gestire autonomamente gli spazi; un prodotto a scatola chiusa inaccettabile per Sky che a suo tempo aveva offerto 440 milioni di euro annui per gli stessi diritti, offerta rifiutata dalla Lega, che puntava a incrementare le cifre precedenti. Il tribunale ha contestato a MediaPro di violare col bando le normative Antitrust, comportandosi da editore, monopolista, e non da intermediario, annullandolo. “La scadenza del 22 maggio per la presentazione della fideiussione da parte di MediaPro vale ancora, oggi più che mai”, ha chiosato Giovanni Malagò, presidente del Coni e attuale commissario della Lega di serie A.

 

Al momento da MediaPro sarebbe arrivato solo l’acconto di 50 milioni di euro, poco e niente per le società che hanno due ordini di problemi: 1. farsi scontare dalle banche gli incassi certi per la prossima stagione; 2. programmare la campagna acquisti. Quindi se non è panico, poco ci manca, perché il sistema calcio italiano, tra stadi inappropriati anche per uno spettacolo televisivo e l’odore nauseabondo delle plusvalenze che risale in superficie, resta traballante dal punto di vista economico. Tanto per fare un esempio. I diritti televisivi per la Juventus rappresentano il 50,2% del fatturato, per la Lazio il 72,4%, Napoli 59,7%, Roma 49,5%, Milan 37,2% e Inter 32,7% (fonte calcioefinanza.it, bilanci 2015 e 2016). Considerando pure i 370 milioni della vendita all’estero dei diritti, quelli di Coppa Italia e Supercoppa Italiana, da poco assegnati, la nuova ripartizione e l’offerta di MediaPro, si andrebbe dai 91 milioni annui della Juventus ai 36,5 del Benevento, così composti: cinquanta per cento in parti uguali, venti per i tifosi, cinque per i risultati sportivi storici, dieci per quelli dei cinque anni precedenti e quindici per l’ultimo.

 

In questi mesi, i nuovi accordi commerciali tra Sky e Mediaset, su alcuni canali Premium visibili sul satellite, avrebbero indispettito MediaPro, nonostante i due competitor abbiano fatto sapere che si sarebbero presentati separatamente nelle trattative sui diritti della serie A. I rumors, però, segnalano la società catalana interessata più al canale tematico, comprendendo anche la serie B e aprendo allo streaming. Ipotesi non contemplata dal bando, però, e sulla quale solo la Lega può decidere rientrando in possesso dei diritti dopo rinuncia di MediaPro; una soluzione pericolosa, con ricadute legali di non poco conto e scenari imperscrutabili. “La decisione del Tribunale ha confermato che era necessaria una verifica, facendo chiarezza a beneficio di tutti i partecipanti e creando i presupposti per la definizione della procedura di assegnazione dei diritti 2018-21 della serie A”, si legge in una nota di Sky, che a questo punto potrebbe rincontrarsi con la società catalana, con rapporti di forza ribaltati.

 

Ma cos’è MediaPro? Di fatto una media company, con vari interessi in produzioni televisive, cinematografiche e tanto altro ancora, quindi un media che sta operando sul mercato italiano come un intermediario per altri media, da una posizione di monopolio, come contestato dal Tribunale di Milano. Oltre mille dipendenti, una redazione di 100 giornalisti, uffici in 40 città, 58 studi, 150 centri di post produzione, quattro canali per il mercato spagnolo e più di 3.500 eventi sportivi prodotti a stagione. E in Spagna come va? È in difficoltà, dopo che Vodafone si è ritirata dall’asta per i diritti 2018-21 di Champions ed Europa League, mentre Orange e Movistar hanno presentato offerte più basse del previsto. Vodafone ha fatto due conti: 192 i milioni di euro persi senza i diritti, nel peggiore dei casi, 200 milioni per accaparrarseli (fonte, startmag.it). Una gara aperta che si traduce in mancanza di soldi, forse gli stessi che sarebbero serviti per la fideiussione italiana?

 

Si era parlato addirittura di Javier Tebas, attuale presidente della LFP spagnola, come possibile ad della serie A e forse il problema è proprio questo. Negli ultimi venti anni i club italiani si sono fatti la guerra, quasi sempre per la distribuzione dei diritti televisivi, senza pensare ad alcun investimento strutturale, soprattutto nell’impiantistica. Si ricorda solamente la corsa, sguaiata e scoordinata, per l’assegnazione di Euro 2016 e la speranza di una cascata di denaro pubblico (come per Italia ’90) per rifare gli stadi, attualmente in serie A solo tre sono di proprietà (Juventus, Sassuolo, con un contenzioso aperto con la Reggiana, e Udinese); oramai scrivere queste cose è diventato banale e tedioso, per tutti.

 

Una Nazionale senza Mondiale, una Federazione senza presidente, una Lega commissariata, eppure l’unico campionato tra i cinque grandi che non è finito settimane fa, ma è rimasto aperto fino, quasi, alla fine. Con salvezza e qualificazioni alle coppe ancora tutte da definire. Ma allora cosa ci manca? Mancano gli stadi, vero, manca un merchandising verso l’estero, vero (chi più, chi meno), manca una seria programmazione economica, manca un sistema di vivai condiviso con la Figc (arriveranno le seconde squadre? Pare di sì), manca soprattutto una narrazione, quella, per esempio, che ha la Premier League inglese. Guardiamoci indietro e rileggiamo gli ultimi mesi di racconti della serie A, eppure il tifo acceso c’è ovunque, ma altrove si cerca di raccontare calcio, con protagonisti diversi e più affascinanti, qui si raccontano risse verbali più o meno volgari. Infine una domanda, per quanto tempo ancora, a livello globale, i diritti televisivi continueranno a crescere? Per quanto ancora le televisioni e gli sponsor saranno disposti a pagare sempre di più? E se fosse anche questa una bolla? Se lo fosse, in Italia sarebbe già scoppiata.

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