Una partita à la Monty Python sarebbe stata più interessante di Russia-Arabia
No, il più grande spettacolo del mondo non può essere questo
“Signori, stasera mi sforzerò di dimostrarvi che la borghesia è immortale”. Non male, come incipit. D’accordo, è copiato. Ma oggi funziona persino meglio di quando lo usò lo scrittore Joseph Roth, nel 1927, a Francoforte sul Meno, di ritorno dalla Russia bolscevica. Quale migliore dimostrazione, infatti, del Mondiale di calcio, con tutto il vorticoso giro di affari, relazioni politiche, passerelle mediatiche? Perché da quelle parti, a Mosca, la democrazia non sta certo celebrando i suoi fasti, dopo la fine del socialismo reale. Ma il capitalismo: com’è che diceva Guy Debord? “Lo spettacolo è il capitale a un tal grado di accumulazione da diventare immagine”. Ecco: a Mosca lo spettacolo è arrivato. E in diretta su Mediaset (ciao, mamma Rai) da noi sono arrivate le immagini. Della sfida fra iconodulia e iconoclastia, fra il popolo che venera le icone, e quello che le considera idolatria e sozzura. Tra i devoti che pensano di potersi elevare dal visibile all’invisibile e gli inginocchiati fino a terra che non ti permettono di provarci nemmeno.
Ma dicevo lo spettacolo. Parola grossa. I russi segnano già al dodicesimo, ma non è che il gioco decolli. Io del resto sono preparato ad annoiarmi. La partita è lunga, dice Piccinini: è proprio quello che mi preoccupa. Anche perché non ci sono stelle da ammirare, né in campo né in panchina. Ripasso le formazioni: i russi giocano quasi tutti fra Mosca e San Pietroburgo, dev’essere il montante nazionalismo russo. C’è questo Cheryshev, che gioca in Spagna, nel Villareal, e che ora mi sta facendo il secondo gol, ma insomma. Tra i sauditi ce ne sono invece tre che militano nel campionato spagnolo, ma nessuno mi pare che sia da Pallone d’oro. Arabia Saudita non pervenuta, finora.
Ma non era meglio una partita à la Monty Python, mi chiedo, tipo filosofi greci contro filosofi tedeschi? Certo, santi russi e imam sauditi non farebbero la stessa figura, per via delle sottane. Ma le due squadre avrebbero potuto sistemare in campo i pozzi petroliferi, o almeno i loro proprietari, abbronzati sceicchi da una parte e grossi grassi oligarchi dall’altra. (Almeno quando si tratta di pallone, lasciateci qualche stupido luogo comune a cui attingere).
Secondo tempo. La partita ora langue. Aspetto che la regia mi dia un’immagine dello stadio: è pur sempre l’impianto dove nell’80 si disputarono le Olimpiadi. Dove Mennea vinse i 200 metri a indice alzato e Sara Simeoni il salto in alto. Miti lontani. In questi Mondiali, a meno di non volersi entusiasmare per gli arbitri italiani incollati al Var, c’è veramente poco per cui esultare. E poi, magari, sbirciando sugli spalti, vedrò qualche novità, timidi volti femminili incorniciati da un velo nero. Perché a inizio d’anno, in Arabia Saudita, è caduto uno storico divieto: le donne ora possono assistere a partite di calcio maschili. In spazi riservati, beninteso: non sia mai che si mischino con gli uomini. Una botta di libertà, comunque. (E di noia, forse).
Certo che ogni volta che si ripassa la geopolitica, e si arriva all’alleanza di Stati Uniti e del mondo occidentale con la monarchia saudita, si deve ingoiare il rospo: il paese che sta più indietro di tutti sul piano delle libertà, nel mondo arabo, quello ce lo siamo scelti come alleato. Non rimane che fare il tifo per il giovane erede al trono, questo Muhammad Bin Salman che ha portato le donne allo stadio e magari in futuro concederà pure qualche diritto civile in più. Chissà.
Settantesimo: tre a zero. Il risultato non è più in discussione. Non lo è mai stato. Mediaset mi assicura che è stata partita vera. Per soprammercato i russi, nel recupero, mi fanno il quarto e il quinto gol. Quando mai, in una partita inaugurale del Mondiale. Questi sauditi sono così molli che non s’incazzano nemmeno: il primo cartellino giallo arriva al 93’. Hanno vinto i rossi, hanno perso i verdi. Solo i daltonici non ci hanno capito nulla. Io, però, non posso credere che il più grande spettacolo del mondo, dopo il Big Bang e la canzone di Jovanotti, sia questo.