Il Giappone vince anche in un bar cinese. Viva le rimanenze di Polonia-Senegal
Pardo imbelletta in telecronaca il poco che accade in Colombia-Giappone. Le mire di Alfio su Vita
Ho dovuto censire tutti i cinesi della città – “un monitoraggio, chiamiamola anagrafe, una situazione, una fotografia…” – dacché ho constatato che nessun bar del circondario avrebbe trasmesso i fenomenali condensati di prodezze che, ne ero sicuro, ci avrebbero offerto Colombia-Giappone e Polonia-Senegal. Risultato del censimento? Una tenebrosa topaia in zona ospedale, a Brescia, priva di aria condizionata ma dotata di un tetro bancone di fòrmica e di un arazzo di segatura a impreziosire il pavimento del cesso. Pertanto, se adesso volete conoscere la più grande differenza tra Vincenzo Cardarelli e me, eccovi serviti: Vincenzo Cardarelli – “il più grande poeta italiano morente” – se ne stava assiso su una regale poltrona della libreria Rossetti a tuttologare in cappotto perpetuo con Giuseppe Ungaretti; io – “il più annoiato scrittore italiano vivente” – me ne sto in maglietta remando contro la mia nomea di pregiato intellettuale rionale, svaccato su una sedia del bar di Gimmi, a farmi intimidire da questo cinese alto due metri e dalle sue due umbratili sorelle, chiamate Vita e Rita.
Nella bizzarra ipotesi in cui si ordini qualcosa, infatti, funziona così: le due cordialone prima ti guardano di sbieco, poi sprizzano dagli occhietti un immotivato risentimento a priori, quindi trafficano rumorosamente, vengono via dal banco soffiando, camminano come se avessero una coda che pesa una tonnellata e ti scaricano sul tavolino délabré i tuoi desiderata (nel mio caso, un caffè e una coppetta all’amarena – Jack O’Malley disprezzami), infine se ne tornano dietro il banco borbottandoti contro qualcosa; classica atmosfera da Padania ridens cui, per aiutarci a casa nostra, si adeguano anche gli alloctoni.
Ma passiamo al fóbal, come dice il mio concittadino Balotelli. Sfogliando il Corrierone mentre Colombia e Giappone entrano in campo, apprendo che il match viene sintetizzato in questi termini: Scugnizzi contro Intellettuali. Non un bel modo di metterla, soprattutto se teniamo conto che i cosiddetti Intellettuali (Hasebe, Nagatomo, Yoshida) sono per lo più dei presta-firma per testi sullo yoga, robetta di para-manualistica resiliente, agili dispensine da autoaiuto cripto-zen. Comunque, se escludiamo l’espulsione del colombiano Carlos Sanchez già al secondo minuto e mezzo, il resto della partita è lì a dimostrare come lo storytelling sia tutto: Pierluigi Pardo si sforza di imbellettare il poco che accade e ci riesce benissimo, ottenendo non dico di divertirmi ma se non altro per venti minuti non penso a casa con struggimento. “Strozza il destro e manca lo specchio della porta!”, e “sorpresa sotto il cielo di Saransk!” sono i due momenti meglio narrati di un Mondiale di telecronache fin qui esangui come la prosa di un autopubblicato (nel frattempo il co-commentatore Aldo Serena fa di tutto per deprivare di verve la narrazione pardiana, inserendosi col suo cantilenante maicontentismo da autentico uomo del bar ed eccependo su tutto quel che accade in campo, tipo quando frigna per la sostituzione di Cuadrado). E intanto un autentico uomo del bar entra davvero qui al bar: un tizio tarchiato e tinto, sui cinquanta, in sandali, marsupio e maglietta a motivi di palmizio. Saluta Vita e Rita trillando “ciao tesori d’Oriente!” e ne cava un mugugno cui, però, risponde sorridendo. Si siede, la Colombia pareggia, lui dà del stüpit al portiere giapponese, poi però si perde la vittoria degli Intellettuali perché preferisce perdere a Hard Vampire, ingobbito a sacramentare nell’angolo macchinette.
Concludendo, che dire di Polonia-Senegal? Come scontro di civiltà mi è sembrato molto civile, ma confesso che l’ho visto come ho potuto perché al centro dello schermo, dai primi minuti, è apparsa la scritta “l’applicazione tv si è bloccata in modo anomalo” e nessuno ha avuto voglia di far qualcosa, così io del match ho visto solo le rimanenze, cioè le azioni sulle fasce. Le recensisco: la palla ha corso per linee rette, ha carambolato vivacemente qua e là, la partita è finita 1-2 e a me è sembrato di vedere Bob Marley.
Poi nel bar siamo rimasti solo io e il tizio. Si chiama Alfio. Credo di poter affermare che ha mire romantiche su Vita. Forse vi aggiornerò.