facce da mondiali
In Egitto hanno provato a "clonare" Trezeguet
Chi è Mahmoud Ibrahim Hassan, l'ala egiziana che da quando ha quindici anni chiamano come l'ex centravanti di Francia e Juventus
Il suo cognome lo perse a quindici anni, che di Hassan ce ne erano quattro in una squadra di diciotto e di Mahmoud cinque. E così se i genitori non si distinsero per originalità, ci pensò l'allenatore delle giovanili dell'al Ahly a (ri)battezzare i suoi ragazzi. Poco male, ché tanto andava di moda così, almeno allora, almeno in Egitto. Aveva iniziato dieci anni prima Abdelamid Hossam Ahmed Hussein, che a nome e cognome preferì un più semplice Mido. Lo seguì Mahmoud Abdel Razek Fadlallah, per brevità chiamato Shikabala. E così fu per altri, per molti. Disse quest'ultimo: "Con un nome corto ci si fa ricordare meglio e così magari arriva qualche chiamata dall'estero". Perché laggiù nelle terra che fu dei faraoni il calcio è amato e vissuto con passione, il campionato è di qualità molto più alta che altrove in Africa, "ma vuoi mettere l'Europa? Un'altra categoria. E poi con tre o quattro anni in Europa ti sistemi per la vita qui in Egitto", raccontò alla Bild l'ex capitano della nazionale egiziana degli anni Novanta Hany Guda Ramzy.
Così Mahmoud Ibrahim Hassan divenne per tutti Trezeguet, come David, punta della Francia campione d'Europa e del mondo. E non per piede o per posizione, nemmeno per senso del gol. "Magari", dice lui, è che "Trezeguet va bene, anzi di più, se lo ricordano tutti". E poco importa se l'altro, quello vero era una punta come poche ne hanno fatte e lui no, gioca sulla fascia, destra o sinistra non cambia. I tratti somatici sono quelli, molto simili, non identici, ma abbastanza da scambiarli facilmente, almeno da una certa distanza.
Quando David venne a conoscenza del soprannome si stupì. "Davvero? non state scherzando", chiese nel corso di un'intervista alla Radio Belge Francophone. Gli misero davanti la foto, lui corrucciò le labbra, osservò con attenzione. Momenti di silenzio. Poi commentò: "I capelli non sono assolutamente uguali e dalla scheda nemmeno la posizione di gioco mi sembra la stessa". Altra pausa. "Però i tratti del viso, beh quelli ci sono tutti. Dovrò chiedere a mio padre se è stato in Egitto. Non si sa mai, magari ha fatto qualche danno", scherzò.
David Trezeguet con la maglia della Juventus nel 2010
In Belgio Trezeguet l'egiziano ci finì nell'estate del 2015. L'aveva notato uno scout dell'Anderlecht l'anno prima. Aveva chiamato Bruxelles dicendo che c'era un'ala di grande talento. Chi è? "Trezeguet". "Ma gioca ancora? E in Egitto? No, grazie, ci servono giovani non ex calciatori", fu la risposta. Ci volle un po' a spiegare al responsabile del mercato dei malva che il francese si era ritirato l'anno prima dopo qualche partita in India e che lui invece parlava di un altro Trezeguet, che non c'entrava niente con l'ex attaccante della Juventus. Inviò qualche video e un'approfondita analisi. Decisero di chiamarlo in Belgio per un provino. Ci vollero venti minuti per capire che il ragazzo aveva qualità. Ci volle un milione e mezzo di euro per convincere l'al Ahly del Cairo a lasciarlo andare.
A Bruxelles però le cose non funzionarono. Dicono che si prese una cotta per una ragazza non molto per bene. Dicono che soffrisse di solitudine. Dicono che non avesse voglia di lavorare. Ne dicono tante, nessuna però che riguardi l'allenatore, Besnik Hasi, che aveva deciso che Trezeguet fosse un centrale di centrocampo e non un esterno: in totale 5 partite, nessun gol e una cessione in prestito al Royal Excel Mouscron. Ma anche lì nulla da segnalare.
Poi arrivò Kemal Özdeş. L'allenatore del Kasımpaşa, lo vide giocare in Coppa d'Africa e convinse il presidente a prenderlo. "Trezeguet può diventare una delle migliori ali del campionato turco", disse in conferenza stampa. In molti risero. Trentatré partite, sedici gol e otto assist dopo, nessuno ride più, perché quel Trezeguet che nessuno si filò in Belgio è diventato davvero una delle migliori ali del campionato turco, tanto da convincere la squadra di Istanbul di investire due milioni per riscattarlo. "A fine Mondiale ne varrà almeno cinque volte tanto", ha detto Özdeş. I giornalisti questa volta non hanno riso. Il presidente ha sorriso. "Se entrano per davvero in cassa dieci milioni faccio una statua all'allenatore".
Il Foglio sportivo - IL RITRATTO DI BONANZA