facce da mondiali
Azmoun, il Messi dell'Iran che a Leo preferisce Ibra
L'attaccante iraniano è il più forte giocatore asiatico della sua generazione. Gioca in Russia, al Rubin Kazan, guidato dal suo mentore
Il Messi iraniano ha sempre preferito Zlatan Ibrahimovic al numero 10 dell'Argentina. Sarà il fisico longilineo, sarà l'attitudine a un gioco più da attaccante che da seconda punta, sarà che al falso nueve ha sempre preferito fare il nove per davvero e che "chiamatelo come volete ma un centravanti deve fare l'attaccante, cioè attaccare, fare e far fare gol, che poi sia piccoletto o grande e grosso cambia poco". Sarà che se uno è forte, se uno è fuori dal normale, "perché fare finta di non esserlo". E Sardar Azmoun, nato a Gonbad poco più di venticinque anni fa, un'eredità genetica da atleta, padre pallavolista e madre che "se avesse fatto davvero atletica leggera – ha raccontato ancora Sardar – avrebbe potuto vincere praticamente ogni cosa", forte lo è davvero e cerca di non nasconderlo mai.
Il calcio "è uno sport dove conta la tecnica certo, ma dove se non hai la sicurezza delle tue capacità non vai da nessuna parte. Devi conoscerti, seguire la tua strada, il resto conta nulla". Azmoun la sua strada l'ha trovata seguendo la E119, quella che dall'Iran raggiunge Baku, supera l'Azerbaijan e porta, cambiando un po' di sigle, sino a Kazan, Russia. In mezzo, una tappa a Rostov.
"Se avesse un normale rapporto con la vita, se non portasse dentro il peso di un mondo intero, sarebbe un fenomeno. Se fosse normale però non sarebbe così incredibile. D'altra parte questo è il pregio e il suo difetto, nulla si può fare contro il sangue", ha dichiarato Kurban Berdyev, il suo allenatore al Rubin Kazan. Berdyev conosce bene il sangue di Azmoun, è lo stesso che sente scorrergli dentro. Turcomanno, ché, dice il tecnico, "è un inno alla libertà, impossibilità di conformarsi alle regole".
In Russia scrivono che il rapporto tra tecnico e allievo è così stretto da avvicinarsi a quello tra padre e figlio. Berdyev aveva chiamato Azmoun in Russia e lui aveva rifiutato l'Udinese e il Monaco pur di raggiungere l'allenatore. Poi l'aveva seguito a Rostov, due anni in prestito ed era ritornato a Kazan quando a Kazan hanno richiamato il tecnico. In Russia scrivono che senza Berdyev, Azmoun non sarebbe diventato il giocatore di oggi. Quello che il 23 novembre 2016 al minuto 44, in contropiede riceve il pallone da un compagno di squadra al margine dell'area, con un tocco di suola lo fa sparire dalla vista del marcatore, Jerome Boateng, che altro non può fare che cadere a terra. Poi, con estrema tranquillità, guarda Neuer e lo batte. Quello che quando c'è da decidere una partita lo fa senza alcun problema apparente.
In Russia scrivono che senza Berdyev, Azmoun sarebbe ancor meglio del giocatore che è diventato oggi, perché "un giocatore non può essere troppo protetto dal tecnico, ha bisogno di prendersi delle mazzate". Perché se c'è bisogno di lui, l'iraniano c'è, altrimenti si limita al compitino, quello del fenomeno che però non ha voglia di cannibalizzare tutti. Dicono che Berdyev gli perdoni molto, se non tutto. Che certe cose un calciatore non le dovrebbe fare. Il problema non sono donne, alcol o droghe, ma i cavalli: Sardar ne ha sei.
Ha un carattere forte e sicuro, ma solo di facciata. Il resto sono incubi. "La sua grande debolezza è che non gestisce molto bene la pressione esterna", racconta Berdyev. "C'era un enorme, pazzo interesse per lui. Ci sono squadre che lo corteggiano da anni. Grandi club come Arsenal e Celtic. Il proprietario iraniano dell'Everton mi ha contattato e ha cercato di raggiungere un accordo di trasferimento. Azmoun ha milioni di fan, un'incredibile attrattività. E non sempre sa gestire tutto questo. È venuto a Rubin come una star, dopo una buona stagione, e la sua testa era tra le nuvole. Sono contento che abbia fatto bene. Ma forse, se non avesse segnato e non avesse giocato così bene, sarebbe stato meglio per lui".
"Il Mondiale è un sogno che pesa come migliaia di persone che attendono da te il massimo", ha detto Azmoun dopo la prima partita vinta con il Marocco. Ora il Messi d'Iran, "ma a Messi non assomiglio per niente", si troverà di fronte al Portogallo di Cristiano Ronaldo, l'altro fenomeno di questo decennio. "Sono due giocatori fantastici, ma ancora non mi capacito che a Zlatan Ibrahimovic non abbiamo mai dato il Pallone d'Oro".