Così la politica ha sempre influenzato i Mondiali
Un libro degli storici Brizzi e Sbetti: “L'esempio più vicino è quello della Francia del 1998 che volle ricollegare la vittoria all'idea di un modello di integrazione riuscito, che poi ha dimostrato nel lungo periodo la sua debolezza”
Riccardo Brizzi e Nicola Sbetti hanno impiegato più di due anni per scrivere la loro “Storia della Coppa del mondo di calcio (1930-2018). Politica, sport, globalizzazione” (Le Monnier), un libro che offre una prospettiva inedita sull'evento che più appassiona i tifosi ogni quattro anni. E la mancata qualificazione dell'Italia a Russia 2018, se da un lato “può forse penalizzare” gli autori “in fatto di vendite”, come spiega ad Askanews Nicola Sbetti, dall'altro “permette però di parlare di più di quello che è il cuore del libro, ovvero il rapporto tra sport e politica”. “Ogni edizione del Mondiale, fin dal 1930, – sottolinea Sbetti – è stata segnata da questa relazione”. Così “non ci sorprende, per esempio, che nella partita tra Svizzera e Serbia dei giocatori di origine kosovara (però di etnia albanese) abbiano voluto segnalare la loro doppia identità: questo fa parte di quello che è la storia del Mondiale. Anche da parte serba, d'altronde, ci sono state grosse pressioni da parte dei tifosi, e i giocatori erano stati fischiati. Questo appunto non ci sorprende se andiamo a vedere quella che è la storia dei Mondiali, e nel libro si ritrovano molte altre storie simili”.
“Tutte le passate edizioni – prosegue Sbetti – sono state caratterizzate da un certo livello di politicizzazione. E' chiaro che le due edizioni svolte in regimi autoritari, come l'Italia nel '34 e l'Argentina nel '78, furono quelle più politicizzate; allo stesso tempo però non va dimenticato che anche le democrazie – fin dall'Uruguay stesso, che volle fortemente i Mondiali del 1930, per legarli ai festeggiamenti del centenario della sua indipendenza – hanno fortemente politicizzato i Mondiali di calcio, e forse l'esempio più vicino a noi è quello della Francia del 1998 che volle ricollegare la vittoria calcistica all'idea di una Francia multietnica, vincente sul campo, di un modello di integrazione riuscito, che poi in realtà ha dimostrato nel lungo periodo la sua debolezza”.