Tifosi della Juve posano con la nuova maglia di Cristiano Ronaldo (foto LaPresse)

CR7, un bell'antidoto all'autarchia e all'illogica “dignità”, non solo allo stadio

Renzo Rosati

Le idee di Maurizio Stirpe, patron del Frosinone, sul colpo del secolo

Roma. Se all’arrivo di Cristiano Ronaldo alla Juventus la Stampa, quotidiano di Torino e tuttora di famiglia (gli eredi Agnelli sono secondi azionisti), ha dedicato le prime sei pagine, il Sole 24 Ore ha quasi ignorato la notizia. Eppure un campione, ed un brand mondiale, come CR7 non solo servirà ai bianconeri per tentare di risolvere l’annosa questione della Champions che latita dal 22 maggio 1996 – vittoria contro l’Ajax – ma prevedibilmente farà accorrere gente negli stadi dove la Signora ha le sue roccaforti di tifoseria, e cioè la grande provincia italiana. Oltre ovviamente agli appassionati di palato fine di Milano, Roma e Napoli. Qualcosa che non accadeva dai tempi di Diego Armando Maradona. Tra i signori della buona provincia calcistica c’è indubbiamente Maurizio Stirpe, presidente del Frosinone appena tornato in serie A; ma anche imprenditore illuminato in quanto fresco padrone di uno dei soli quattro stadi di proprietà di club, dopo Juventus, Udinese e Sassuolo. Il nuovissimo “Benito Stirpe” del capoluogo ciociaro ha 16.500 posti rispetto ai 10 mila del vecchio Matusa, ospiterà concerti ma anche fiere ed eventi commerciali, punto d’incontro per famiglie e per la vivace imprenditoria locale. Secondo un rapporto di Bankitalia del giugno scorso la provincia è tornata a crescere più della media italiana, grazie soprattutto alla Fca di Cassino e all’indotto auto nel quale la parte del leone è di Prima Sole Components di Stirpe; azienda di famiglia che da 40 anni produce componentistica “low cost di lusso” per Fca, Daimler, Volkswagen, Volvo, Audi, con stabilimenti in tutto il mondo, ed oggi è prima al mondo per le parti in plastica. “Sono convinto che Cristiano Ronaldo rappresenti una bella scossa per il calcio italiano dopo anni di grigiore, nel quale i campioni se ne andavano anziché arrivare” ragiona Stirpe con il Foglio. “E questo in termini di indotto, oltre che per la Juve, lo vedremo appunto a partire dalla provincia”. Ma Maurizio Stirpe è anche vicepresidente di Confindustria con delega al lavoro e relazioni industriali, e se gli si chiede se il segnale, oltre che per il calcio rappresenti un’inversione di tendenza anche per l’attrattività dell’Italia nel suo complesso, allora cambia registro: “Non mi pare proprio che si vada in questa direzione. Anzi, gli ultimi atti del governo vanno decisamente in senso opposto, quello di un paese meno attrattivo e meno amico dell’impresa e del lavoro”. Stirpe non è un presenzialista delle polemiche: durante l’edificazione dell’impianto dedicato al padre, che nel frusinate è sempre un mito e al quale ha dedicato anche una biografia “di imprenditore e gentiluomo”, in quei mesi appunto se ne stava rintanato in spicchi di tribuna per verificare che tutto il campo fosse raggiunto dal sole.

 

E con i sindacati locali è sempre andato d’accordo. Ma con il governo gialloverde ha il dente avvelenato, così come non concepisce l’immobilismo grilloide sullo stadio della Roma, e più ancora sulle Olimpiadi. “Abbiamo una capitale che è l’unica nella quale esista un solo stadio. Ed il Flaminio è uno scandalo ancora poco dibattuto. Quanto alle Olimpiadi, difficile trovare le motivazioni per un rifiuto del tutto ideologico, sul quale i Cinque stelle ora cercano di fare marcia indietro per Torino, facendosi coprire le spalle dal governo che dovrebbe costringere Milano a cooperare”.

 

Ma soprattutto Maurizio Stirpe si è scagliato in modo veemente contro il decreto dignità voluto e varato da Luigi Di Maio “nella sua contraddittoria doppia veste di ministro del Welfare e dello Sviluppo economico”. Il mondo imprenditoriale, dice Stirpe, “aveva atteso 42 anni norme sul lavoro che liberassero le imprese dal vincolo della causale nei licenziamenti. Quindi è arrivato il Jobs Act. Ora, con la scusa di ridurre la precarietà, si sono introdotte norme che tra qualche tempo provocheranno una serie di conseguenze quali il turnover massiccio nei contratti a termine, la robotizzazione spinta dei processi produttivi, l’organizzazione del lavoro basata sugli straordinari e non sulle assunzioni. Tutto questo mentre altrove, a cominciare dalla Germania, si esportano contratti aziendali basati sullo scambio tra più tempo libero, e dunque nuove assunzioni, e rinuncia ad aumenti salariali. Il modello Lamborghini, insomma. E’ pazzesco. Dove sta la dignità?”.

 

Stirpe diventa un fiume in piena e parla di “stato di polizia aziendale”, “inviti alla delocalizzazione mentre si predica il contrario”, “proibizionismo produttivo”. E aggiunge che i Cinque stelle, dopo aver promesso il ritorno al dialogo con le parti sociali, alla fine “hanno dato retta solo alla Cgil”. Alla domanda se anche questo sia un segnale di populismo sovranista, il vicepresidente di Confindustria risponde citando gli esempi dei paesi concorrenti in Europa e altrove che, al contrario, offrono incentivi per spostare lì le produzioni: “Come Spagna, Francia, Regno Unito post Brexit. Qui ci trastulliamo in un dirigismo autarchico che storicamente ha sempre fatto fiasco”. Meglio parlare di CR7 e dell’amato Frosinone.

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