Mbappé contro Modric, il cavallo e il mulo
Chi sono i due fenomeni di Francia e Croazia in finale mondiale
Roma. A mettere insieme un cavallo e un mulo verrebbe fuori un animale perfetto. Il detto suona più o meno così dal Friuli prealpino sino alla Dalmazia e poi più in là, verso l’Ungheria, e anche in Provenza se ne trova una versione simile. Lo sapevano bene i contadini, lo sapeva ancor meglio chi saliva in montagna e lo aveva intuito pure Ljubiša Broćić, che contadino lo fu in gioventù prima di decidere di insegnare calcio. Veniva da Belgrado, aveva allenato e vinto in tutto il medio oriente, poi era salito in Olanda e “aveva trasformato il calcio in un concerto”, parola di Johan Cruijff. Alla Juventus Broćić era arrivato nel 1957 e gli era stata chiesta una sola cosa: vincere il decimo scudetto. Anzi due: cercare un modo per far convivere il capitano Giampiero Boniperti con il nuovo acquisto Omar Sivori. Raccontano che prima di firmare il contratto li volle vedere in azione. Raccontano che ci mise due minuti prima di dire, “uno ha la forza di un mulo, l’altro la grazia di un cavallo. Se di due ne fai uno sarebbe il calciatore perfetto”.
Settant’anni dopo a mettere assieme un mulo e un cavallo non ci sono ancora riusciti e così domani allo stadio Luzniki di Mosca mulo e cavallo si troveranno di fronte nella finale dei Mondiali di Russia 2018. Luka Modric contro Kylian Mbappé, cervello, tenacia e indolenza contro velocità, agilità e senso scenico. Il mulo e il cavallo. I due migliori interpreti di quei due mondi calcistici che proprio Omar Sivori aveva indicato alla radio: “Dicono che corro poco? Mi spiace, ma ci sono due tipi di giocatori, entrambi necessari: chi corre e chi fa correre la palla. Io appartengo ai secondi”. Poi ironizzò: “Per fortuna siamo pochi, altrimenti giocheremmo a calcino”.
Il francese Mbappé invece appartiene alla prima categoria. E’ un purosangue, uno che già a sei anni, “si vedeva che non era come gli altri”, ha detto il suo primo allenatore all’AS Bondi, Antonio Riccardi. Kylian “aveva un dribbling fantastico, mentre correva, ed era una scheggia, riusciva a controllare la palla come voleva” e questa è una prerogativa di pochi giocatori. Un cavallo di razza che a sedici anni giocava già in prima squadra al Monaco, a diciassette era titolare, a diciotto è stato acquistato dal Paris Saint-Germain per 145 milioni di euro, a diciannove ha raccolto 21 presenze e sette gol in Nazionale e l’etichetta di “indispensabile” dalla stampa francese.
Gliela hanno attaccata addosso dopo l’ottavo di finale contro l’Argentina: due gol fatti, un rigore procurato e una serie di accelerazioni che hanno riportato i francesi al 1998, quando nell’attacco dei galletti giocava un giovane Thierry Henry, uno che in seguito divenne uno dei più forti attaccanti della storia della Francia. “Se ci fosse una disciplina olimpica di velocità palla al piede Mbappé sarebbe una medaglia sicura”, ha detto a beIN sports Renaud Longuèvre, preparatore atletico e consulente sportivo. “Fisicamente è un alieno, c’è poco di meglio in giro. Tecnicamente è eccellente. Può diventare un campione”, ha sottolineato. “C’è però un problema: se non capisce come funziona il gioco del calcio rimarrà un gran giocatore ma non diventerà mai un campione”.
Se il cavallo corre, il mulo osserva, si rapporta con quello che gli sta attorno, valuta, infine decide il da farsi. Se c’è qualcuno che lo guida, ancora meglio, lascia prendere le decisioni a un altro, ma non finisce mai di osservare e costruire il suo mondo. Solo se le cose non gli vanno bene prende in mano la situazione. Il croato Modric come un mulo osserva, corre quando serve, si muove pacato, ma sa con precisione assoluta cosa gli accade attorno. Per lui il campo non ha segreti, il suo piede si sostituisce ai suoi polmoni e raggiunge tutti e tutto. “Sembra un direttore d’orchestra, dove c’è lui la sinfonia è totale”, dichiarò il suo ex allenatore ai tempi del Tottenham, Harry Redknapp.
A differenza dei cavalli però i muli non impressionano, nessuno si innamora di loro al primo istante. E così Modric ha aspettato 23 anni prima che qualcuno si accorgesse che la geometria era importante tanto quanto la forza e la velocità, perché la magia non è altro che l’utilizzo della matematica e della fisica per ingannare l’occhio, perché Luka in campo a volte scompare, lascia agli altri la guida e la ribalta. Ma quando serve, quando non se ne può fare a meno, ecco che prende le redini e con la calma del migliore inizia a tracciare le vie che servono per il gol, nonostante “quelle gambette fini, quelle spalle storte e quello sguardo di uno che non gli va di giocare”. Tomislav Basic, suo allenatore al NK Zadar, così se lo era trovato davanti: “Mi ci volle oltre un mese per capire che quando sbagliava era perché io gli davo indicazioni errate. Lui il calcio lo vedeva meglio degli altri, doveva dirigere, non essere diretto”.