“La Voce” dello stadio
Raccontare calcio per 40 anni, alla radio, per poi tornare ascoltatore
Da sabato 18 agosto, in edicola con Il Foglio del weekend, c'è Il Foglio Sportivo. Quattro pagine settimanali interamente dedicate allo sport. Di seguito uno degli articoli del primo numero. Il resto potete leggerlo qui.
La colonna sonora delle mie domeniche è stata la radio. Aveva ragione Candido Cannavò, indimenticato direttore della Gazzetta dello sport, a definire “Tutto il calcio minuto per minuto” la colonna sonora delle domeniche degli italiani. Sono un testimone di questa verità. E’ stato così per una lunga epoca, a partire da quel 10 gennaio del 1960, quando – quattro giorni dopo la morte di Fausto Coppi – la voce di Roberto Bortoluzzi introdusse quella assai più celebre di Nicolò Carosio e quelle, che celebri sarebbero diventate, di Enrico Ameri e Andrea Boscione. Iniziava l’èra del racconto in diretta delle partite di calcio. In simultanea. Un racconto moderno e coinvolgente. Tanto coinvolgente da richiamare all’ascolto fino a 20 milioni di italiani e a convincere la Figc – la Lega calcio non esisteva ancora – che non fosse il caso di autorizzare la Rai a iniziare il racconto dai primi tempi. “Solo i secondi”, fu l’imperativo categorico. Per non correre il rischio che i tifosi non andassero allo stadio e si rifugiassero in casa, schedina in mano, per seguire il campionato alla radio.
Faccio fatica a spiegare agli adolescenti di oggi che la mia generazione aveva solo la radio. E che non c’era verso, prima delle 15 e 15, di sapere cosa fosse successo negli stadi italiani. Buio assoluto. Nessuna notizia, nessuna radio privata, nessuna tv, nessun sito internet. Nulla di nulla.
Si gironzolava per casa, album delle figurine Panini tra le mani, rimuginando paure e speranze. Fino alle 15 e 15, quando la “Stock di Trieste” invitava all’ascolto di “Tutto il calcio minuto per minuto” e un “Buongiorno gentili radioascoltatori” provocava l’immediato silenzio dell’uditorio famigliare, in attesa che “le voci” snocciolassero i parziali dei primi tempi.
E’ nato così l’amore per il calcio e per la radio: un album delle figurine e “le voci” che ti portavano in tribuna. Ovunque fossi. Un amore coltivato tanto in profondità da trasformarsi in passione, in sogno e poi addirittura in lavoro. Il mio lavoro: raccontare calcio per 40 anni, alla radio.
E’ difficile spiegare ai giovani che per una trentina d’anni ha funzionato così. Poi sono arrivate le tv, le altre radio e poi internet. E loro, i nativi, ora hanno una miriade di opzioni e possono scegliere come seguire la loro squadra del cuore. Sono fortunati. Più possibilità di scelta, più libertà. Non c’è dubbio. Anche più mercato, ovviamente. Tant’è che oggi occorre comprare il “diritto” a trasmettere. All’epoca no. Era davvero solo un servizio.
Oggi sono tornato ascoltatore. E faccio finta di non vedere i sorrisetti di qualche ragazzo quando viene a sapere che sì, il campionato lo seguo ancora così. Almeno nel pomeriggio della domenica, quando accendo la radio e ascolto la sigla che ha introdotto per decenni anche la mia voce. Sia chiaro: non per nostalgia, ma solo perché amo davvero la radio. E mi piace chiudere gli occhi e rivedere le azioni con la mia immaginazione.
Ci sono dei vantaggi. Uno su tutti: puoi crearti i colori delle maglie a tuo gusto, ignorando i bravi cronisti che, con coscienza, ti descrivono i colori davvero indossati in campo. E così il “mio” Milan torna a esibire le sottili strisce rossonere; la “mia” Inter a scegliere un punto d’azzurro che non si confonda con il nero; la “mia” Lazio quel punto di celeste che ricorda il cielo di Roma; il “mio” Napoli l’azzurro brillante di Maradona (l’immenso…), diverso da quello della Nazionale ma anche lontano da quello macchiato di fantasiose geometrie che va tanto oggi. E non è un vantaggio da poco immaginare Cristiano Ronaldo – il colpo del secolo – indossare la maglia che fu di Platini (a proposito di colpi del secolo…) a strisce bianconere larghe ma numerose, o quella che indossava la generazione dei Castano e del Del Sol: un’elegante camicetta di stoffa, con tanto di colletto bianco e una fila di bottoncini. Meglio, almeno per i miei gusti, di quella scelta per questa stagione, troppo simile alla maglia che indossava l’Udinese di Zico (a proposito di un altro colpo del secolo…).
Quest’anno non dovrò nemmeno esprimere le mie opinioni alla “Domenica sportiva”. Le terrò per me, o al massimo le esprimerò sui social, ché a volte possono essere divertenti. Ezio Luzzi, grande voce della radio spesso romanticamente votata alla B, introduceva le partite che Ameri e Ciotti si accingevano a raccontare intervistando i colleghi in tribuna stampa. La sua prima domanda era inesorabilmente: “Allora, che partita sarà?”. Già, che campionato sarà. Sarà quello di Cristiano Ronaldo? Difficile immaginare il contrario, anche se in Italia le difese, e soprattutto l’organizzazione di gioco, sono più severe che in Spagna. Ma Ronaldo le nostre difese, quella juventina in particolare, le ha già sperimentate. E il nostro italico pragmatismo non ha impedito al portoghese di prodursi in quella rovesciata che ha dato origine a tutto. Una rovesciata che ha persino minacciato l’incontrastato dominio di quella di Parola, immortalata per sempre sulle bustine delle figurine. C’è anche chi ha osato proporre di cambiare e mettere al posto di Parola Ronaldo. Una sollevazione popolare, via social, ha imposto agli imprudenti che avevano lanciato l’idea una veloce marcia indietro. CR7 è la novità che rilancia l’interesse verso il nostro campionato. Il rischio è una “francesizzazione” della Serie A, una Juventus cioè come il Paris Saint-Germain, che domina e non lascia nulla agli altri. Facile però opporre un “in Italia è così da sette anni”. E se invece la presenza di Ronaldo fosse uno stimolo in più per Napoli, Roma e Inter? L’arrivo di Carlo Ancelotti a Napoli è l’altra vera novità. Saggezza, ironia, intelligenza, condite da buon senso emiliano e tanta esperienza. Allenerà il Napoli ma, credo, anche De Laurentiis e una piazza appassionata ma a volte anche autolesionista. Ci voleva un po’ di Ancelotti per far crescere, e non solo sul piano tecnico, un Napoli che vuole essere protagonista. E occhio all’Inter, con una difesa fortissima, e a una Roma che ha acquisito maturità insieme al suo tecnico.
Tornerò allo stadio. Lo farò sicuramente. E’ impagabile l’atmosfera che si respira sugli spalti. Non c’è comoda poltrona che regga il confronto. Che faccia caldo, che faccia freddo, che piova, la tv non regge il confronto con lo stadio. Impossibile. La partita la respiri, insieme al profumo dell’erba. E soprattutto non sei costretto a inveire contro i registi che ti propinano immagini strette a ripetizione. Il campo, voglio vedere il campo! Che in tv, tra l’altro, non vedi mai per intero, ovviamente. E per chi, come me, è stato abituato a buttare l’occhio più avanti o più indietro di dove è il pallone per comprendere cosa possa accadere, è un insopportabile imposizione. Ma del resto è ormai impossibile tornare indietro, ai tempi di Martellini e alle partite in bianco e nero riprese con poco più di tre telecamere: campo lungo (lunghissimo) e qualche campo stretto (pochi). Ma era per questo che erano stati inventati i telecronisti: per dirci i nomi dei calciatori che toccavano il pallone perché, con le immagini da lontano, per noi era quasi impossibile riconoscerli. Tornerò allo stadio e vedrò la partita senza ascoltare la mia voce in cuffia o quella degli altri colleghi. Ascolterò solo la voce dei tifosi, i loro cori, il loro incitamento o i loro fischi. Perché il “rumore” della partita è questo, un commento collettivo che è a volte più esaustivo di quelli che tentiamo noi al microfono. Perché il cuore pulsante dello stadio, quella passione che si trasforma in energia, è la voce più autentica, quella che ci fa battere il cuore. Vorrei che quelle minoranze sciocche che vanno allo stadio per esprimere il loro odio lo comprendessero. E’ quasi sacrilego interrompere quel meraviglioso commento collettivo fatto di un urlo crescente che accompagna l’azione d’attacco; di un disperato ululato di sofferenza se l’attaccante fallisce il gol; di rabbia esplosiva se l’arbitro fischia un calcio di rigore (che ci sia o meno è irrilevante…); di silenzio depresso se segna l’avversario: sono il vero patrimonio del calcio. Ricordo a Napoli un momento in cui Insigne portava avanti il pallone mentre alle sue spalle rinveniva un avversario. Lui non si accorgeva della minaccia. Ci pensò il San Paolo, con una sola voce, ad avvisarlo. E Insigne accelerò ed evito il rischio di perdere il pallone. Ecco, vorrei che quelle minoranze sciocche capissero quanto è determinante la “voce” dello stadio, e non gettassero al vento la loro grande potenzialità sprecando fiato in cori indegni e inutili. Vorrei lo capissero tutte queste minoranze, in qualunque curva si collochino, in ogni angolo d’Italia. La passione non si alimenta con l’odio. Si alimenta con l’amore: per la propria squadra e per il calcio.
Ci vediamo allo stadio allora. E questa volta non sarò in tribuna stampa.
*Riccardo Cucchi è stato “Prima voce” di “Tutto il Calcio minuto per minuto” e radiocronista della Nazionale. Ha narrato la notte di Berlino nel 2006 ed ha seguito per la Rai 8 Olimpiadi e 7 Mondiali. Inviato speciale e responsabile dello sport di Radio1, ha concluso la sua attività come conduttore della “Domenica Sportiva”.