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Serie A, la festa delle medie

Beppe Di Corrado

Oltre a Juventus, Inter, Roma, Napoli, Lazio e Milan c’è molto di più. Dalla Fiorentina al Sassuolo, dall'Atalanta al Torino, queste squadre non vinceranno la serie A, ma la cambieranno in meglio

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E’ l’anno delle medie, questo. Concentrati sempre a guardare davanti, dove ci sono Juventus, Napoli, Roma, Inter, Lazio, Milan non abbiamo visto fino in fondo che cosa è successo dietro. E subito dietro c’è il quasi il 50 per cento delle squadre di Serie A che ha lavorato per chiudere il distacco con quelle cinque davanti. Atalanta ovviamente, poi Fiorentina, Sampdoria, Torino, Sassuolo, Udinese, Genoa, Cagliari. Parma, anche. Nessuna s’è indebolita, molte si sono rafforzate. E’ l’idea che la Premier League ha elaborato già molto tempo fa: il campionato sarà più interessante se si rafforzano quelle che normalmente non lottano né per le Coppe né per la salvezza. In Italia non c’è una strategia a monte, ma ci sono evidentemente una serie di strategie individuali che convergono al punto da intravvedere un minimo comune denominatore. Allenatori bravi e direttori sportivi intraprendenti, club con una visione hanno creato i presupposti di una crescita evidente che ha nell’Atalanta il fenomeno i cui risultati sono un obiettivo che tutti vogliono raggiungere. Come è una storia differente, perché ogni club ha idee sue e soprattutto ha una storia diversa che deve tenere conto di molte variabili. Meglio. Perché qui non si cerca un modello da imitare, ma una serie di modelli che funzionano ciascuno a modo proprio. La Fiorentina, per esempio.

 

Di questo gruppo è quella che, dal Dopoguerra in poi, ha la storia più complessa: passata attraverso fasi da grande, così come attraverso retrocessioni in B e fallimenti, per poi tornare in A, ambire a una posizione tra le vecchie sette sorelle. Gli ultimi due anni hanno dato una svolta identitaria: la Viola è il laboratorio di giovani che sono pronti a essere il futuro delle grandi. Quest’anno ha uno degli attacchi più interessanti del campionato e persino d’Europa: Pjaca, Simeone, Chiesa. Ovvero: 23, 23 e 21 anni, forti, veloci, tecnici, intelligenti. Bravi. E con una esperienza che non li fa percepire come scommesse. Firenze ha un pubblico esigente, che vorrebbe vedere la Viola lottare per scudetto e Champions. La Fiorentina oggi non è squadra costruita per vincere, ma per avvicinarsi alla vittoria. Una differenza sottile ed enorme. Un’idea, soprattutto. Aziendale, sportiva, tecnica. Con l’Atalanta è quella che creerà più problemi alle cinque grandi, in un percorso che è la prosecuzione di quanto accaduto lo scorso anno.

 

Non ha giocato alla prima giornata, la Fiorentina. Come Sampdoria e Genoa esordirà questo weekend. Per le altre che hanno invece esordito nella Serie A 2018-2019 l’anno delle medie è cominciato lasciando la chiara indicazione che su questo blocco di squadre si può costruire una parte cospicua dell’interesse di questo campionato: il Torino perde in casa con la Roma dopo aver giocato e rischiato di vincere. Il Sassuolo gioca e vince contro l’Inter. L’Atalanta passeggia sul Frosinone. Parma e Udinese finiscono 2-2 in una partita divertente. Male solo il Cagliari contro l’Empoli. Ci sono, comunque. Ci sono con un mercato e con scelte tecniche e tattiche suggestive, forti, decise. Partire dall’Atalanta è scontato e necessario. Ha vinto con semplicità all’esordio, ha fatto un percorso netto fino all’ultimo playoff dei preliminari di Europa League e sul mercato ha comprato quello che le serviva perché non l’aveva. Duvan Zapata è il centravanti che voleva Gasperini per avere più gol: è arrivato con un investimento forte e con l’idea che per confermarsi dopo due anni come quelli passati servono sforzi maggiori. L’arrivo di Zapata è interessante per un’altra ragione: è uno degli incroci di mercato tra le medie. Perché l’Atalanta l’ha preso dalla Sampdoria, che ha preso Saponara dalla Fiorentina. La Samp è stata fino all’ultimo in corsa con il Torino per arrivare a Zaza. L’ultimo giorno del mercato l’ha spuntata il Toro che ha riportato in Italia lui e Soriano. Dopo l’acquisto di Izzo e la conferma di Belotti e di alcuni calciatori fondamentali come Baselli, ha costruito una squadra tosta. Dove vuole arrivare? O meglio: dove i tifosi del Toro e il suo presidente credono che possa arrivare? Col Torino, come con la Fiorentina, il problema è sempre più legato alle aspettative che al risultato. Perché il pubblico granata non si accontenta di essere decimo, vuole di più, vuole l’Europa, vuole vivere con l’idea che possa battere la Juve nel derby. Ogni club ha i suoi parametri e quelli del Toro non sono gli stessi della nuova Samp, per esempio. Perché il presidente Ferrero, tra le molte esagerazioni verbali della sua avventura doriana, ha costruito una squadre e un club con molte certezze. Una di queste è che l’era Mantovani è e resta un meraviglioso ricordo, ora il destino della Sampdoria è il piacere del gioco e della valorizzazione del talento, sia quello giovanissimo, sia quello che sembra sopito da qualche altra parte e può essere nuovamente vitalizzato. Per questo in questa stagione l’acquisto di Riccardo Saponara è la storia da seguire in quella metà di Genova. E’ tornato dall’ultimo allenatore che ha valorizzato il suo modo di giocare. Marco Giampaolo è il mister perfetto per questa idea di Samp. Ovvero bella, piena di freschezza tecnica, di idee tattiche, di gioco. La conseguenza sul risultato è il filotto, positivo e negativo, ovvero di periodi in cui tira e vince con tutti, altri in cui perde quasi con tutti. La motivazione di questo alloggia nella sua rosa che spesso ha come unico limite l’esperienza (e l’età). Ma funziona? Sì, funziona. E’ una strada che, per esempio, il Genoa non ha ancora trovato. Ciononostante il Genoa entra nell’anno delle Medie perché la continuità in panchina è il valore sul quale ha deciso di puntare, a differenza del recente passato. Il Genoa serve alla Serie A come poche altre squadre, per pubblico, per storia, per interesse generale. E quest’anno il Genoa sarà una squadra complicata per tutti.

 

L’arrivo di Inglese al Parma trasforma la stagione di una delle promosse dalla B (anzi, dalla D in tre anni) in qualcosa di più di una stagione alla ricerca della salvezza anche all’ultima giornata. E’ un calciatore che per livello, anche se non per esperienza, è vicino agli altri citati per le altre Medie: è un attaccante che segna, a volte anche gol fantastici come quello all’Udinese. Completa una squadra la cui incertezza maggiore è l’inesperienza in A dell’allenatore, Roberto D’Aversa. Ma serve davvero l’esperienza in panchina? Anche i mister che arrivano dall’estero non hanno esperienza specifica in Serie A, allora perché spesso non sorgono gli stessi dubbi? Parma aspetta per giudicare, così come fa Udine che ha mantenuto praticamente la stessa squadra dell’anno scorso cambiando però l’allenatore e scegliendo uno che è un D’Aversa al quadrato: Julio Velasquez non ha esperienza in A ed è straniero, viene dall’Alcorcon nella Liga Adelante (la Serie B) spagnola. Scettici in molti, non i giocatori che al 2-2 segnato a Parma sono corsi da lui per abbracciarlo. E’ un capo.

 

Così come è un capo Roberto De Zerbi, altro nuovo allenatore del nuovo gruppo di Medie che vogliono condizionare questo campionato. Le uniche panchine in A sono state al Benevento già spacciato lo scorso anno.

 

Anche per lui la variabile dell’esperienza non entra in gioco. Ne entrano altre, soprattutto tre: l’ambizione, la consapevolezza e il saper far giocare a calcio le squadre che allena. Le prime due s’intrecciano e si sono viste tra la fine della primavera e l’inizio dell’estate: De Zerbi aveva tutte le squadre che faranno la B per vincerla pronte a prenderlo con un contratto pluriennale. Lui, però, ha aspettato: è arrivato il Sassuolo, un club perfetto per associare alle prime due variabili la terza. Perché a Sassuolo ci sono stati Allegri e Di Francesco prima di lui. De Zerbi è arrivato, ha cominciato ad allenare e ha costruito. Contro l’Inter s’è vista la sua idea tattica e la sua idea di intensità: una squadra che corre, che non ti fa giocare, che ti sfianca e che poi sa attaccare velocemente, in profondità. Il disegno del Sassuolo passa da lui e dalle strategie complessive del club, ad esempio quella di puntare sull’acquisto di uno come Kevin Prince Boateng. Altra dimostrazione di una colleganza non dichiarata, ma manifesta tra le Medie: per essere un blocco bisognava investire su calciatori forti, molti dei quali sono o i migliori giovani dei grandi club (vedi Pjaca), o calciatori con un’esperienza in un calcio più alto di quello in cui sono arrivati. Boateng è l’esempio migliore. E’ tornato per molte ragioni, tra le quali c’è l’aver cambiato modo di giocare: a 31 anni, da centravanti, è uno in grado di spaccare le partite. Un calciatore così in questa serie A alza il livello medio, rende ancora più chiara la nuova forza di un blocco di squadre che non vinceranno i campionati ma li giocheranno per renderli più complicati a chi vuole vincerli. E’ un bene, per tutti.

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