That win the best
Quanto è orrendamente bella l'Europa League
Elogio della coppa snobbata da tutti, delle sue maglie brutte e dei suoi bomber sconosciuti
Sarà che invecchio, e a differenza del buon brandy che migliora con gli anni mi rincoglionisco, ma la tremenda mediocrità dell’Europa League mi affascina sempre di più. Nessuna nostalgia per il calcio fish&chips, sia chiaro, è che il trash crea dipendenza e la bruttezza genera malinconia. L’Europa League è una sbronza triste durante la quale riconosci un vecchio amico seduto due sgabelli più in là al bancone del pub. Ma le avete viste tutte quelle squadre dai nomi impronunciabili affastellate il giovedì sera in un numero esagerato di partite giocate contemporaneamente?
La diretta gol di un turno di Europa League è un’orgia troppo affollata, alla fine ricordi a malapena che giocavano il Milan, l’Arsenal e un altro paio di squadre famose. Come non volere bene a quelle maglie brutte, a quegli spalti più vuoti del Parlamento italiano il venerdì mattina, a quei risultati improbabili, a quei campi brulli, a quegli stadi sovietici, freddi e bellissimi, agli allenatori semisconosciuti? Sono convinto che le aziende che producono le divise per le squadre di calcio facciano apposta. Scusate l’esempio assurdo, ma se il Milan fosse stato in Champions League, secondo voi la Puma avrebbe costretto Higuaín e compagni a indossare quel pigiama scacciafiga contro la squadra di semidilettanti di un comune lussemburghese? Certamente no. A inizio estate i dirigenti delle aziende di abbigliamento si ritrovano, e a seconda di dove giocherà la squadra per cui devono progettare le divise affidano il lavoro a creativi geniali o a stagisti ubriachi.
Non ci sono soltanto le maglie brutte a catturarmi il cuore, però. In Europa League pure i gol sono più brutti, anche quando sono più belli. Le grafiche in tv sembrano ideate da qualche esodato di Rai Sport, le pettinature dei calciatori paiono il frutto di uno sciopero improvviso dei barbieri (per contratto probabilmente devono mettere gel scadenti, il cui effetto dura di meno, diciamo fino a metà del secondo tempo). L’esultanza del Carneade Benjamin Kololli è l’apice di quanto sto cercando di dirvi (video sopra). Durante l’attesissima Lanarca-Zurigo, l’attaccante della squadra svizzera segna su rigore. La sua gioia incontenibile lo porta a correre verso il settore ospiti, uno spicchio vivo dentro a uno stadio morto. Kololli salta i cartelloni pubblicitari, poi un secondo ostacolo. A quel punto cade in un fossato. Come non brindare al bomber sfigato che si è rialzato ridendo quasi fosse una partita di calcetto del giovedì sera? Come non amare il Purgatorio, pur anelando alla noiosa perfezione del Paradiso. Alzi la mano chi preferisce un costoso cocktail servito su una terrazza milanese durante la Fashion week a una pinta di birra in un pub di Sheffield mentre sul maxischermo mandano la replica di Akhisar Belediyespor-Krasnodar. La Champions League è bellissima, emozionante e da vincere. E’ il sogno giusto di qualunque calciatore. Noi, sconfitti, fumatori impenitenti, con il vizio della chiacchiera lunga attorno al tavolo, l’amore per la birra e le grigliate di carne, noi sporchi, brutti e cattivi non possiamo non amare la bellezza imperfetta e fuori tempo massimo dell’Europa League. Che vincerà l’Arsenal. O il Chelsea.
[Questo articolo è stato pubblicato sul Foglio Sportivo del 22 settembre 2018.
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