Ancelotti e quella "rivoluzione" al Napoli per tenere in vita il campionato
L'allenatore ha archiviato Sarri e ha iniziato a vincere. Quello che non ha mai smesso di fare la Juventus. E sabato le due squadre si affronteranno a Torino
Aggrappati al Napoli. E a Carlo Ancelotti. La giornata numero sette propone Juventus-Napoli nell'anticipo e chi spera che la stagione non si risolva in un'esibizione di Cristiano Ronaldo in giro per l'Italia punta forte (o disperatamente) sulla squadra azzurra. Accadeva anche un campionato fa e i 90 minuti di Torino, decisi da una capocciata di Koulibaly, aprirono alla possibilità di vedere in vetta un colore diverso da quello bianconero alla fine dell'annata. Ma poi il Napoli si perse subito, tra festeggiamenti propri (memorabile quello dell'addio di Reina, pronto ad accasarsi al Milan) e della città, tutti fuori tempo e fuori luogo. Mancavano quattro turni alla fine e il Napoli si fece male da solo in quello successivo, travolto a Firenze e nuovamente distanziato – stavolta in maniera decisiva – dalla Juventus. Al punto che Maurizio Sarri avrebbe rivelato: “Quello scudetto lo abbiamo perso in albergo”.
Sarri, per l'appunto. Il magnifico perdente, bravissimo a far giocare bene le sue squadre e a classificarsi secondo, non c'è più. È l'ennesimo italiano chiamato dal pericolante Roman Abramovich ad allenare il Chelsea, e in Inghilterra è ovviamente già alle spalle della capolista Liverpool. Quel Chelsea dove è passato, e ha vinto, Ancelotti, richiamato in Italia dopo nove anni di assenza. Nove anni in cui l'allenatore ha lasciato tante vedove inconsolabili al Milan, ultimo tecnico dell'epopea berlusconiana capace di portare in sede una Champions League. Nove anni in cui ha girato per l'Europa, vincendo ovunque. Un campionato al Chelsea, un campionato al Paris Saint Germain e uno al Bayern Monaco. In mezzo anche una Champions con il Real Madrid, quella della storica “decima”, arrivando personalmente a tre coppe continentali sollevate dalla panchina, record insieme con Bob Paisley e Zinedine Zidane. Sempre e solo tornei di primissimo piano, il meglio in Europa; sempre e solo club di primissimo piano, ancora un volta il meglio in Europa.
Per questo qualcuno ha inarcato il sopracciglio, nel modo in cui solo lo stesso Ancelotti sa fare, quando Aurelio De Laurentiis lo ha voluto a Napoli recidendo il cordone ombelicale con Sarri. Dubbi derivanti da una realtà totalmente diversa da quelle cui era abituato il tecnico. Quindi un club senza la stessa capacità di spesa e una piazza difficile da gestire, pronta alle passioni ma altrettanto pronta a criticarti. Dubbi che si sono rafforzati dopo una campagna acquisti di basso profilo e dopo risultati poco convincenti, le vittorie faticose in rimonta contro Lazio e Milan, seguite dal 3-0 incassato dalla Sampdoria. Marassi è comunque un terreno fertile per i rilanci: accadde alla Juventus sconfitta la passata stagione, è capitato al Napoli in questa. Perché Ancelotti, dopo quel passo falso, ha tagliato definitivamente con il passato, rimodellando il Napoli a sua immagine e somiglianza. Addio al 4-3-3 di Sarri e adozione convinta del 4-4-2. Un sistema di gioco in cui Marek Hamsik, spostato centrale al posto di Jorginho, si sente a suo agio e dove Lorenzo Insigne, reinventato seconda punta, ha già segnato cinque reti in sei partite: una soluzione che, se fosse stata adottata con coraggio in Nazionale, avrebbe scritto un destino diverso per l'Italia, eliminata anzitempo dalla corsa al Mondiale.
Ma Ancelotti è uno che sa capire i propri uomini, valorizzandone le qualità al massimo. Gli capitava al Milan, quando Silvio Berlusconi pretendeva di giocare con le due punte e lui diceva a Kakà di muoversi là davanti per i primi minuti, per far contento il presidente, e poi di scivolare dietro e di inventare quello che più gli piaceva alle spalle del centravanti. Lo stesso sta avvenendo al Napoli, dove a tutti viene data una possibilità da titolare: sono già venti i giocatori diversi visti dall'inizio in sei giornate, in un turnover che ha fatto finora bene. Il contrario di Sarri, che aveva invece sempre e solo undici, al massimo dodici, giocatori fissi su cui puntare, finendo per terminare la benzina e venire tagliato fuori da ogni obiettivo stagionale, Italia o Europa che fosse. Una strada diversa, quanto vincente lo scopriremo cammin facendo. A cominciare da Torino.