Niccolò Mornati (a destra) e Lorenzo Carboncini alle Olimpiadi di Londra 2012 (foto LaPresse)

Niente doping per Mornati. Ma chi gli restituirà l'Olimpiade?

Emmanuele Michela

Il tribunale di Terni scagiona il canottiere. "Non è una medaglia conquistata, è una guerra che non ho scelto", dice ora al Foglio

Chi la restituisce, ora, quell’Olimpiade a Niccolò Mornati? La domanda è d’obbligo oggi, dopo che il Tribunale di Terni ha assolto il canottiere azzurro poiché "il fatto non costituisce reato". Due anni e mezzo fa fu trovato positivo all’anastrozolo e gli costò la partecipazione a Rio 2016. Era diventata per lui, ormai, una questione personale: "Mi dava fastidio, prima di tutto, vedere messa in discussione la mia lealtà e integrità, di uomo e di atleta", dice al Foglio, mettendo solo in secondo piano l’occasione persa di gareggiare alle Olimpiadi per la quarta volta, "l’ultima in cui avrei potuto vincere una medaglia". Sta tutto qui Niccolò Mornati, 37 anni e una vita trascorsa a vogare, partita da Lecco e dalle acque di quel lago che ha saputo regalare più di un campione alla causa azzurra. Uno di questi è Carlo, fratello di Niccolò, argento a Sidney nel “quattro senza” e oggi segretario generale del Coni. Famiglia buona, una passione sincera per lo sport fatto di fatica e valori, che con dolore si trovò a fare i conti con quell’accusa che rovinò il finale di carriera di Niccolò. 

 

Era l’aprile 2016 e, mentre Mornati si trovava in ritiro con la Nazionale a Piediluco (in Umbria) per preparare i giochi di Rio (dove doveva gareggiare nel “due senza” con Vincenzo Capelli), fu trovato positivo a una sostanza, l’anastrozolo, a seguito di un controllo antidoping a sorpresa. Fin dall’inizio, però, erano tante le cose che non tornavano. Anzitutto nella sostanza: l’anastrozolo (trovato in quantità risibili, 0,5 nanogrammi, al limite della sensibilità della metodica) si usa abbinato agli steroidi anabolizzanti per limitare alcuni loro effetti collaterali. Di questi, però, nel suo corpo non c’era traccia, e il paradosso è che da solo quel farmaco rischia di essere perfino nocivo per un atleta. Ma pure il comportamento di Niccolò – che al momento della visita si trovava lontano dalla sede del ritiro – sembrava dire altro, quel giorno. Il sistema whereabouts gli avrebbe consentito, in quella determinata fascia oraria, di non essere a disposizione del controllo, eppure lui tornò a Piediluco: "Non avevo nulla da nascondere".

  

"E' una mezza vittoria", dice Mornati, "essere stato dichiarato innocente". Perché a seguito della sua positività, la prima sezione del Tribunale nazionale Antidoping lo squalificò per 4 anni nel luglio 2016 ("L'anastrozolo si trova nei farmaci per combattere il cancro alla mammella: essendo uomo, dissero banalizzando il tutto, non potevo aver preso per caso quella sostanza"), pena che fu dimezzata, nell’ottobre successivo, in secondo grado, poiché si considerò l’assunzione come non volontaria.

 

Ma intanto i Giochi erano andati: "Sono arrivato a credere che qualcuno abbia voluto sabotarmi, contaminando magari cibo o borracce durante il ritiro", dice pensando alla denuncia sporta contro ignoti qualche tempo dopo. "Va poi detto che la giustizia sportiva parte dal principio che l’onere della prova va ribaltato. Ma spesso chi, come me, ha agito in buona fede, non sa spiegare cosa può essergli accaduto, mentre chi fa doping per truffare magari pensa anche a come nasconderlo. Il mio caso era diverso: se vieni trovato positivo a quantità tanto minime di una sostanza non sai spiegare in che modo puoi averla assunta accidentalmente. Anche perché la vita di un atleta è piena di situazioni in cui possono avvenire contaminazioni: in ritiro con i compagni, nel cibo che mangi, in ciò che bevi… È complicatissimo dimostrare come puoi aver ingerito una dose così risibile".

  

Ma in quell’estate 2016 il dogma della macchina prevalse su tutto, senza lasciare a Mornati la possibilità di spiegare fino in fondo. "Mi sento più sollevato nel vedere che un giudice ordinario ha riconosciuto la mia buona fede, anche se in questa situazione non mi sarei dovuto nemmeno trovare. Non è una medaglia conquistata, è una guerra che non ho scelto". La sua rabbia, oggi, è ancora tanta per il modo con cui il caso venne trattato all’epoca, specie dai giornali. "Già poche ore dopo che mi fu notificata la positività la notizia era ovunque. Sicuramente il ruolo di mio fratello Carlo ha dato una particolare enfasi alla vicenda. Il caso venne gonfiato molto, io avevo una storia e una visibilità grande, venivo dal circolo Aniene, oltretutto tornavo a gareggiare dopo un primo ritiro e potevo competere per una medaglia. Tutto portò sulla vicenda una risonanza enorme". 

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