L'addio al calcio di Terry, bad boy che ce l'ha fatta
L’ex capitano del Chelsea sarà viceallenatore dell’Aston Villa. Ha smesso al momento giusto
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L’immagine di John Terry che ricordiamo di più non è legata a una delle molte vittorie con il suo Chelsea. E’ il 22 maggio del 2008. La finale di Champions League tra i Blues capitanati da Terry e il Manchester United di un giovane Cristiano Ronaldo, dopo 120 minuti, non si è ancora decisa. Si gioca a Mosca. Piove e il Chelsea deve battere il quinto rigore. Tocca proprio a lui, al capitano, che con quella maglia è diventato grande e sta giocando la prima finale di Champions della sua vita. CR7 ha sbagliato, se Terry fa gol i Blues vinceranno la prima Coppa dei Campioni della loro storia. La rincorsa è breve, in diagonale. Prima di impattare il pallone con il destro, però, Terry appoggia male il sinistro. Forse la pioggia, l’emozione, fatto sta che non colpisce bene, indirizzando la palla verso l’angolo alla sinistra di Van der Saar, portiere dello United, che si è invece buttato dalla parte opposta. Il pallone sfiora il palo ed esce. Terry ha il culo per terra, sporco di fango, non ci crede. Resta seduto così, la testa china tra le ginocchia.
Si va a oltranza, Anelka sbaglia e il Manchester vince la terza Champions League della sua storia. Cristiano Ronaldo è sdraiato sull’erba, piange di gioia. Terry è in piedi a centrocampo. Anche lui piange, si asciuga gli occhi con la maglietta, compagni e persone dello staff lo abbracciano, provano a consolarlo. Lui, che da bambino tifava proprio per lo United, quella notte diventa una volta per tutte Mr Chelsea. Giù le mani da John Terry, urlano compagni e tifosi, il capitano che ha sbagliato ma ha dato la vita per questi colori.
E poiché il calcio è cinico e strano, pochi anni dopo il Chelsea è di nuovo in finale di Champions League, questa volta contro il Bayern Monaco. La finale si decide ancora ai rigori, ma questa volta Terry non può sbagliare. Né riscattarsi (sarebbe stato un racconto troppo prevedibile). Nella meravigliosa semifinale contro il Barcellona di qualche settimana prima, dove il bus parcheggiato in area da Di Matteo ha travolto il tiki taka di Guardiola, il capitano è stato espulso. Anche lui, ovviamente, festeggia in campo la storica vittoria, ma ha la faccia di chi al pub non può bere perché all'alba del giorno dopo deve fare gli esami del sangue.
Volendo essere pigri, di lui si può dire che ha vinto tutto con la maglia della squadra in cui è cresciuto e invecchiato. Insieme a Lampard è stato il simbolo del Chelsea di Abramovich, quello che ha smesso di essere un comprimario della Premier League. In questi anni è stato un capitano non memorabile della Nazionale inglese, si è trombato la moglie del suo migliore amico e compagno di squadra, ha fatto parlare di sé per le imprese non edificanti dei suoi genitori. Crocifisso nella sala mensa di Stamford Bridge dai giornalisti di tutto il mondo per le sue avventure extra-calcistiche, nel maggio del 2017 ha lasciato il Chelsea con un discorso in campo che aveva fatto sembrare sobrio quello di Francesco Totti. Un anno all’Aston Villa gli ha fatto passare la voglia di giocare, qualche giorno fa ha annunciato il suo addio al calcio e da poco è stato nominato viceallenatore proprio dei decaduti Villans. A 38 anni ancora da compiere è un ottimo esempio per i nostalgici del pallone che, a 40 suonati, ci costringono a vederli ancora in campo (senza nemmeno poterne parlare male) oppure emigrano a fare i circensi in improbabili campionati esotici tipo quello americano o quello cinese.