Giocatori della Nazionale cinese (foto LaPresse)

Così la Cina fabbrica i calciatori per vincere il Mondiale

Francesco Caremani

Il governo scavalca la Chinese Football Association e organizza uno stage, forzato, per 55 giocatori Under 25. Seminari sul concetto di collettivismo, un addestramento militare e poi tutti in Spagna per la rifinitura

Un seminario di quattro giorni sul concetto di collettivismo alla Beijing Sports University, un addestramento militare a Tai’an, provincia dello Shandong, e poi tutti in Spagna per la rifinitura, sotto la guida di Shen Xiangfu, tecnico cinese allenatore del Tianjin Quanjian, dove ha preso il posto del portoghese Paulo Sousa, esonerato all’inizio del mese, del quale era l’assistente. Sono questi i cardini dello stage, forzato, cui la General Sports Administration, scavalcando la Chinese Football Association, per volere dell’ingegnere Gou Zhongwen, ministro dello Sport, ha deciso di sottoporre 55 giocatori Under 25, togliendoli d’imperio alle società d’appartenenza nella fase finale, e più delicata, della stagione. Una volta terminato lo stage, della durata di due mesi, saranno impiegati direttamente dalla federazione in due squadre nazionali (una guidata da Marcello Lippi) per partecipare alla serie A e alla serie B cinesi del prossimo anno, con un meccanismo di regole a dire poco cervellotico (ad esempio i club, quando incontreranno le due rappresentative, non potranno schierare gli stranieri). Non solo, i club perdono anche ogni diritto economico su questi calciatori. Obiettivo? La qualificazione a Qatar 2022, il Mondiale, ossessione del governo cinese che l’ha spinto a intraprendere questa lunga marcia nel calcio, con investimenti e regolamenti isterici e contradditori.

 

Il calcio cinese, fino a qui, ha seguito una via della seta esclusivamente in uscita: investimenti diretti nel calcio europeo e acquisto di campioni provenienti dall’estero. Poi è arrivato, all’improvviso, un freno a entrambe le cose, insieme con la nuova regola di potere avere cinque calciatori stranieri, ma solo tre in campo, e obbligatoriamente due Under 23 cinesi, di cui uno titolare, ma pare che, alla luce delle nuove decisioni, quest’ultima sarà abortita. Una crescita da una parte e una frenata dall’altra che ha portato al ribasso dell’ultima asta dei diritti televisivi della Chinese Super League e a una generale perdita d’interesse nei confronti del calcio cinese. Inoltre, quest’ultima forzatura è contro le regole della Fifa che deve e vuole impedire l’influenza della politica sul football, tanto da minacciare e sospendere le varie federazioni che le violano. Per adesso, però, Infantino non ha fatto niente contro quella di Pechino e secondo gli analisti il motivo è prettamente economico, visto l’ingente partecipazione economica degli sponsor cinesi al Mondiale russo.

 

I tifosi si stanno ribellando a questa decisione caduta dall’alto, criticandola aspramente su Sina Weibo, piattaforma locale di microblogging, e considerando morta la Chinese Super League. Da qualunque parte si guardi, lo stage non ha niente a che vedere con il football, le sue regole, i suoi tempi e i suoi riti, in Europa come in Sudamerica, ma in Cina il calcio, dalla piccola squadra locale alla Nazionale, è una questione politica e come tale è trattato, obiettivi da raggiungere compresi. Certo, la Cina corre adesso il pericolo di vedere molti sponsor ritirarsi dai club e dal campionato. Un impoverimento economico dalle conseguenze difficili da prevedere, ma certamente non positive.

 

Nel 1960, sempre in Cina, ci fu un’operazione simile, quando l’Asia e il calcio erano ancora due continenti distanti. Sei anni dopo, la rivoluzione culturale di Mao, chiuse i campionati e gli esperimenti annessi. A distanza di cinquant'anni l’attuale governo rischia di ottenere lo stesso risultato con una restaurazione che, al netto dell’evidente incompetenza sull’argomento, rimane di difficile comprensione. Xi Jinping vuole organizzare il Mondiale di calcio in Cina e nel 2050 vedere la propria Nazionale campione del mondo, per questo avrebbe pensato, insieme al suo ministro dello Sport, di fare studiare ai giovani calciatori il collettivismo, focalizzando i concetti di comunità e società, dove l’intero è maggiore della somma delle parti, dove la squadra, il gruppo, è al di sopra di tutto. Quindi la Rappresentativa cinese, quale emanazione del governo, è al di sopra dei club e può decidere per loro in nome della collettività. Pensando al collettivismo applicato al calcio, non sempre con successo, vengono in mente, tra gli altri, allenatori come Michels, Lobanovsky, Zeman, Sacchi e Guardiola; per certi versi anche Milutinovic, unico ad avere portato la Cina a un Mondiale (Corea-Giappone 2002). Senza contare che richiama a quello sport di Stato dell’ex blocco sovietico, con tutte le conseguenze venute a galla nei decenni successi alla caduta del muro. Doping compreso. Sarà un caso, ma i cinquantacinque prescelti sono completamente isolati dall’esterno e le sessioni di allenamento chiuse ai visitatori. La via cinese del calcio non poteva essere certo quella di strapagare campioni stranieri a fine carriera, ma nemmeno questa pare lungimirante e continua a essere un grande mistero.

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