La bellezza relativa e assoluta di certe vittorie
L’Inghilterra batte la Spagna, l’Italia la Polonia (e non è lo stesso). Intanto torna la Premier
Londra. Il bello del calcio è che tutto è molto relativo, orrendamente di parte e oscenamente interpretabile, ma al fischio finale si scontra con la realtà del risultato, dura come il bancone del pub quando dopo la sesta pinta il braccio non regge più la testa. Eppure anche la goduria per una vittoria finale – o per una non sconfitta, o per una sconfitta indolore in un ritorno di coppa – varia a seconda della storia, delle aspettative e del valore dell’avversario. Nelle analisi dei media, poi, una sconfitta può essere raccontata come una vittoria (c’era il cuore, c’era la grinta, c’è stata sfortuna, più di così non potevano fare, e via di luoghi comuni) e viceversa una vittoria può essere snobbata (magari con l’immarcescibile vince ma non convince, locuzione che tutte le sere prego compaia come un mostro nei sogni dei titolisti frettolosi e dei cronisti che hanno la prenotazione al ristorante che rischia di saltare).
Siamo in un’epoca di dubbi feroci, ci attacchiamo a poche certezze – Balotelli che anche quest’anno sarà decisivo l’anno prossimo, Maradona che indicherà in un attaccante a caso dell’Argentina il suo successore facendolo fallire, Neymar che non è più felice di stare in Francia, Lacazette ubriaco che dice che sono più caldi gli stadi francesi di quelli inglesi – e trasformiamo in trionfi assoluti o irrimediabili sconfitte partite che, contestualizzate, avrebbero tutt’altro significato. Bene, perché ho scritto tutto questo pippone introduttivo? Perché ancora devo riprendermi dall’orgia di emozioni di lunedì scorso, quando l’Inghilterra ha battuto 3-2 la Spagna in terra iberica, come non succedeva da oltre trent’anni, interrompendo l’imbattibilità casalinga degli spagnoli che durava dal 2003.
Lo ha fatto in modo folle e sfacciato, rischiando di farsi recuperare e contemporaneamente di vincere 6-0; lo ha fatto nonostante uno stadio indemoniato contro, e avversari che si lamentavano più della Gazzetta ogni volta che gli arbitri annullano un gol al Torino. La giovane età dei ragazzi allenati da quel figo di Southgate faceva presagire un crollo psicofisico imminente, come nella semifinale del Mondiale di Russia. Così non è stato, e brindare quella sera è stato ancora più dolce. Non serve leggere il fondo dei boccali per prevedere un futuro roseo che ci attende – è tutto pronto per una grande cavalcata ai prossimi Europei, con ovvia e drammatica sconfitta in finale a Wembley, roba per cui qualche scienziato inglese che pasticcia con pecore Dolly e embrioni clonati sarà costretto a far tornare in vita Shakespeare per cantare quella nuova tragedia nazionale, così il Foglio potrà fare sia un editoriale contro che una recensione a favore nella Fogliata dei libri.
Certo, c’è chi si ingrifa per avere battuto la Polonia, la squadra più bollita al mondo dopo Germania, Frosinone e Forza Italia, ma non ve ne faccio una colpa: anche io avevo un compagno di classe che spacciava come avventure amorose l’aver sfiorato con il ginocchio una natica della più carina della classe mentre erano in fila per la mensa (anzi, forse dopo questa mia rivelazione verrà arrestato e nascerà il movimento #kneetoo). Sì, dopo Spagna-Inghilterra ho iniziato ad apprezzare la Uefa Nations League, ma attendevo il ritorno della Premier League con la stessa eccitazione con cui Burioni attende il tweet di un antivaccinista per poterlo menare. Beh, l’ho aspettata ed è tornata. Ed è bellissima.