Paola Egonu, opposto della Nazionale di volley femminile, durante la semifinale contro la Cina (foto LaPresse)

Fortissimamente volley

Nicola Imberti

Dopo un grande Mondiale, la serie A. Perché le vittorie della pallavolo femminile non sono un caso

Siamo pur sempre un popolo di eroi. Capaci di gesti eclatanti, ma decisamente più a nostro agio quando si tratta di portare in trionfo il paladino di turno. E così venne il giorno che l’Italia, all’improvviso, si accorse di Paola Egonu. Originaria di Cittadella, classe 1998, 189 centimetri di altezza, Egonu è una delle ragazze della Nazionale femminile di volley arrivata in finale ai Mondiali che si sono svolti in Giappone (oggi sabato 20 ottobre, alle 12.40, la finale per l'oro con la Serbia, ndr). Persino il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, non ha voluto far mancare il suo tweet di “augurio e sostegno” rivolgendo “un pensiero alle ragazze della pallavolo femminile che stanno conducendo uno strepitoso Mondiale”.

 

 

In tempi di #metoo e governi gialloverdi, il fatto di essere una donna nata in Italia da genitori nigeriani, sarebbe motivo sufficiente per trasformare Egonu in un’icona sociale di riferimento. Ma la verità è che Paola e le sue compagne di squadra sono anzitutto delle campionesse. Alcune delle giocatrici più forti al mondo. Non sono arrivate dove sono arrivate per caso. E chi si stupisce per le loro vittorie non sa, evidentemente, di cosa stiamo parlando.

 

Non sa ad esempio che Egonu, e con lei una buona parte della Nazionale, in tempi più o meno recenti, ha vestito la maglia del Club Italia (anche il commissario tecnico, Davide Mazzanti, è passato da quelle parti). Una sorta di “squadra-Nazionale”, creata dalla Federazione italiana pallavolo per far giocare e formare le pallavoliste del futuro. L’idea è semplice, ogni anno vengono selezionate le ragazze più talentuose alle quali viene offerta l’occasione di partecipare al campionato di serie A. “I club – racconta al Foglio Sportivo il presidente della Lega Pallavolo serie A femminile, Mauro Fabris – hanno un vivaio di 15.000 ragazzine con 8.000 società satellite sul territorio. Club Italia dà ad alcune di queste ragazze l’occasione di partecipare a uno dei migliori campionati al mondo. Non a caso, tra tutte le giocatrici che sono arrivate alla final six dei Mondiali, più di 20 hanno contratti con squadre italiane”.

 

Ovviamente i club non hanno subito accolto con piacere questa rivoluzione introdotta ormai 20 anni fa. Ma nel tempo la scelta si è dimostrata più che vincente. È anche grazie a Club Italia, e alla possibilità di mettersi alla prova in un campionato vero e competitivo, che Egonu e le sue compagne sono cresciute fino a raggiungere la mentalità che, nonostante la giovane età, consente loro di affrontare sfide a livello internazionale come delle veterane.

 

“In altre nazioni come gli Stati Uniti e la Serbia – prosegue Fabris – non c’è un campionato di alto livello. Ma noi pensiamo che questa sia la strada giusta. Anche quest’anno abbiamo 5-6 squadre che lotteranno per lo scudetto (la serie A1 inizierà il prossimo 28 ottobre, ndr). E questo è possibile anche perché abbiamo difeso la possibilità, per ogni club, di avere quattro straniere sempre in campo. In questo modo le atlete più forti al mondo possono venire a giocare da noi. E il confronto ad altissimi livelli trasforma in campionesse anche le nostre ragazze. Dopotutto non è un caso se ai Mondiali italiani del 2014 metà della nostra Nazionale era composta da pallavoliste che giocavano all’estero mentre oggi militano tutte in club italiani”.

 

 

La Nazionale femminile di volley ai Mondiali in Giappone (foto LaPresse) 

Certo, anche il volley femminile, come altri sport, deve fare i conti con la mentalità “calciocentrica” del nostro paese. “La crisi economica è stata dura da superare – ricorda Fabris – club falliti, sponsor in fuga. Piano piano, però, siamo riusciti a ripartire. Non è un caso se oggi il main sponsor del campionato è Samsung mentre Master Group Sport si occupa dell’organizzazione degli eventi. Abbiamo ricreato un interesse mediatico. Le partite sono diventate dei veri spettacoli sulla scia del modello americano. Il tasso di riempimento dei palazzetti è in continua crescita. LVF tv, la nostra televisione che, ben prima di Dazn, trasmetteva in streaming le partite della serie A, conta 5.000 abbonati. Tutto questo ha catalizzato l’attenzione degli sponsor che sono tornati a investire nei club e nelle strutture”.

 

Insomma la pallavolo (femminile e maschile), ma forse anche la pallacanestro, sembrano finalmente in grado di occupare gli spazi lasciati liberi dal calcio. Non è un caso che, mentre i club pallonari più blasonati si concentrano soprattutto nelle grandi città, le squadre di volley femminile sono spesso l’espressione di una provincia meno appariscente. Così, al fianco di Firenze e Bergamo, ecco Novara, Conegliano, Scandicci, Chieri, Monza, Filottrano, Brescia, Cuneo, Casalmaggiore e Busto Arsizio. E colpisce, nella lista dei 13 club che si sfideranno nel campionato di A1, l’assenza di squadre provenienti dal sud.

“In serie A2 abbiamo club calabresi, pugliesi, campani, e anche sardi e siciliani, ma il problema del Mezzogiorno esiste. Ed è legato a due elementi: l’assenza di grandi sponsor e di impianti”. Anche gli eroi, purtroppo, devono fare i conti con i limiti atavici del nostro paese. Ma la speranza non manca. “Siamo un modello pilota per lo sviluppo del volley femminile – assicura Fabris – Purtroppo la monocultura calcistica tende a spazzare via tutto. Ma la pallavolo è un altro mondo. Non c’è violenza. Le famiglie vengono con piacere a vedere le partite e in alcuni palazzetti ci sono addirittura delle aree bimbo ai lati del campo. Siamo, come dico spesso, ‘un fenomeno carsico’. E poco importa che ci sia chi si accorge di noi solo in occasione di grandi eventi come il Mondiale”.

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